Il potere della voce

Lo scrittore Dino Provenzal ha pubblicato nel 1956 un dizionario in cui descriveva il modo di parlare di politici, poeti, papi e filosofi. Se lo avesse scritto oggi avrebbe constatato che mancano toni adulti

Bismarck “parlava lentamente, quasi con esitanza, con voce fioca ed acuta”. Anche Stalin infilava “periodi lenti e ponderati”, ma “con voce piana e un poco rauca”. Quanto a Cavour, invece, aveva “la parola spezzata e imbarazzata, la voce acre e metallica”. Robespierre “sapeva addolcire con arte la sua voce naturalmente acuta e stridula”. E di Lenin, ci si stupisce che sia stato un trascinatore di folle, già che “parlava senza slancio, la sua voce era quasi sempre velata dalla raucedine, sonava stanca, incolore”. Nel Dizionario delle voci di Dino Provenzal, pubblicato da Hoepli nel 1956, non c’erano solo i politici, ma anche i poeti, i papi, i musicisti, i filosofi, insomma qualunque grande personalità del passato o del presente (c’era anche Montanelli) della cui voce qualcuno avesse lasciato una descrizione scritta. Era un libro stravagante e non privo di genio, ed è un peccato che non ne esista una versione aggiornata al 2024. Sono convinto, infatti, che un catalogo delle voci sarebbe cosa utilissima per decifrare il nostro tempo, e inoltre mi aiuterebbe a confermare o a smentire un’ipotesi che mi ronza in testa da tempo: stanno scomparendo le voci adulte. Fateci caso: fino a una trentina d’anni fa i nostri attori, cantautori, intellettuali, politici avevano, anche a vent’anni, la voce di uomini fatti. Oggi siamo circondati da voci di eterni adolescenti – le voci morbide, compiaciute, quasi gongolanti di chi gioca narcisisticamente con il proprio apparato fonatorio senza sforzarlo troppo, nel timore che quei suoni così rotondi s’incrinino. Siamo una civiltà che resiste con tutte le sue forze alla muta vocale. Se non è un segnale questo.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.