Fra Harris e Trump è testa a testa. Le incognite difficili da decifrare e l’ossessione Pennsylvania

I due candidati alle presidenziali sono a pari punti, ma negli Stati Uniti i sondaggi sono spesso poco affidabili o di parte

A quarantacinque giorni dal voto per la Casa Bianca, l’America è un enigma. Le sorprese degli ultimi mesi hanno avuto l’effetto di rendere ancora più difficile del solito decifrare l’orientamento di chi andrà a votare il 5 novembre. Sondaggisti e analisti sono alle prese con un quadro confuso e spesso contraddittorio, che si riassume in una situazione di sostanziale testa a testa: al momento, nessuno può dire con la forza dei dati se vincerà Donald Trump o Kamala Harris. Il dibattito tra i due candidati non ha cambiato lo scenario, ora che sono arrivati i primi sondaggi autorevoli a fotografarne gli effetti. Si potrebbe dire che Harris lo ha vinto, ma Trump non lo ha perso. Perché lo spostamento in alto dei consensi per la vicepresidente, che c’è stato, non è un vero e proprio balzo.

Trump ha tenuto bene su scala nazionale e questo conferma la solidità della sua candidatura, che ha resistito finora a vicende giudiziarie e passi falsi che avrebbero distrutto la carriera politica di chiunque altro. Il secondo mancato attentato non è stato ancora registrato dai sondaggi, ma non sembra destinato a cambiare molto la situazione.

Un esempio significativo delle contraddizioni del momento è l’ultimo sondaggio New York Times/Siena College, uno di quelli che gli addetti ai lavori ritengono tra i più autorevoli. Dopo il dibattito di Filadelfia, i sondaggisti hanno rilevato una situazione di assoluta parità, 47-47 per cento, tra Harris e Trump a livello nazionale. E’ stato un brutto segno per la candidata dei democratici, che non sembra aver incassato quanto era prevedibile, mentre una vittoria per Trump e il suo team, che hanno rilanciato il sondaggio come dimostrazione del fatto che tutta l’enfasi dei media sul dibattito sarebbe malriposta.

Nello stesso tempo, però, il sondaggio del New York Times si è concentrato sulla Pennsylvania, il più ambito dei sette stati in bilico con i suoi 19 voti elettorali in palio. E qui la storia è diversa, con Harris che accelera e si porta in vantaggio 50-46 per cento. Nate Cohn, il sondaggista del quotidiano, ha confessato tutti i suoi dubbi quando ha visto i risultati. Perché finora la Harris risultava forte a livello nazionale e debole in Pennsylvania: l’opposto di quello che gli elettori stanno dicendo adesso.

Da Pennsylvania, Georgia e Michigan passano i percorsi obbligati per chi vuole conquistare la maggioranza del collegio elettorale e raggiungere la fatidica quota di 270 voti elettorali. Che è tutto quello che conta nelle elezioni americane, dove il voto popolare nazionale vale zero. È soprattutto la Pennsylvania che si sta trasformando nell’ossessione di entrambi i partiti. Joe Biden nel 2020 la vinse con un vantaggio di un solo punto percentuale, mentre aveva un distacco del 4,5 per cento da Trump su scala nazionale. Vedere la Harris avanti di quattro punti in Pennsylvania è uno choc per i repubblicani. La candidata democratica sta investendo milioni in pubblicità nello stato e sta andando a visitare una miriade di contee “rosse” che non può vincere, ma dove può raccogliere abbastanza voti da abbassare il margine a livello statale (i voti elettorali si assegnano, tutti e 19, a chi vince la maggioranza del voto popolare nello stato).

L’altro “Nate” celebre del mondo dei sondaggi americani, Nate Silver, fotografa una situazione altrettanto incerta nel suo modello predittivo, che non tiene conto solo della media dei sondaggi, ma anche di fattori economici e precedenti storici. Per Silver la Harris ha avuto un piccolo balzo di 1-2 punti dopo il dibattito a livello nazionale e conduce 49-46 per cento, mentre in Pennsylvania i due sfidanti sarebbero vicinissimi.

In America gli istituti che fanno sondaggi sono una miriade, spesso i dati sono poco affidabili o di parte, ma c’è un selezionato numero di rilevazioni di “alta qualità” che sono quelle che le due campagne seguono con più attenzione: Siena, Marist ed Emerson College, Quinnipiac University, Beacon Research, Ipsos sono tra i nomi ritenuti più affidabili. In questo momento a livello nazionale mostrano quasi tutti un lieve vantaggio per la Harris (con l’eccezione del pareggio nella rilevazione del New York Times) e distacchi minimi, di 1-2 punti, nei sette stati decisivi.

Da qui l’enigma e la difficoltà di decifrare un paese che in realtà sta già votando, per posta. Ci sono analisti che vedono consolidarsi il “Blue Wall” democratico al nord, con Wisconsin, Michigan e Pennsylvania avviati ad affidare i loro complessivi 44 voti elettorali alla Harris: le sarebbero sufficienti per arrivare a quota 270. Altri ipotizzano di andare a letto presto la sera del 5 novembre, prevedendo che Trump conquisterà i tre stati della costa orientale, Pennsylvania, Georgia e North Carolina, arrivando a 270 e chiudendo la partita.

Ma incognite e possibili sorprese sono ancora molte. Lo hanno scoperto i repubblicani l’altro ieri con le rivelazioni sul governatore della North Carolina, il nero Mark Robinson, che Trump ha finora ripetutamente elogiato e appoggiato nella sua corsa per mantenere la guida dello stato. Robinson era già finito più volte nei guai con maldestre citazioni prese in prestito da Hitler, ma adesso la Cnn ha scoperto che frequentava siti porno nascondendosi dietro il soprannome “Black Nazi”. Il governatore è in caduta libera nei sondaggi e potrebbe far perdere a Trump la North Carolina, forse cambiando anche la storia delle presidenziali.

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