I flop economici della Cina possono avere conseguenze geopolitiche imprevedibili

L’economia cinese sta attraversando un rallentamento e le politiche governative privilegiano investimenti pubblici e settori tecnologici, ma l’assenza di stimoli ai consumi interni e le tensioni commerciali globali aumentano le pressioni deflazionistiche. Dove ci conduce la mezza crisi del Dragone

Gli ultimi dati congiunturali confermano che l’economia cinese sta attraversando una fase critica, con inevitabili ripercussioni a livello globale. Il prodotto interno lordo cinese dovrebbe aumentare quest’anno meno del 5 per cento fissato dal governo. I principali istituti di ricerca stimano un graduale rallentamento nel resto del decennio. Tra i fattori sottostanti alla performance deludente non c’è solo la demografia. Diversamente dalla maggior parte dei paesi avanzati, la crisi del Covid non è stata affrontata in Cina con un massiccio sostegno pubblico a favore delle famiglie.

Queste hanno così dovuto ricorrere ai propri risparmi durante il lockdown. Alla fine dalla pandemia, non c’è stato il forte rimbalzo della domanda, come in occidente. Le famiglie cinesi hanno invece continuato a risparmiare, per ricostituire i fondi che erano stati erosi. La crisi del settore immobiliare, provocata da un eccesso di investimenti nel passato, e il calo della Borsa, hanno spinto i risparmiatori verso attività liquide ma poco remunerate, come i depositi bancari.

Le politiche messe in atto dal governo non sono riuscite a invertire la tendenza, e in alcuni casi l’hanno aggravata. La convinzione che le politiche keynesiane di rilancio alla domanda aggregata non siano adeguate al contesto cinese ha scoraggiato dall’adottare incentivi a favore delle famiglie. Si è continuato a privilegiare gli investimenti pubblici, ma l’effetto moltiplicatore sulla crescita è calato nel tempo, dato l’eccesso di capitale fisico accumulato in passato, soprattutto nelle infrastrutture. La mancanza di fiducia dei cittadini nei confronti del sistema di welfare, e l’insufficienza di servizi pubblici adeguati, dall’assistenza medica al sistema pensionistico e a quello dell’istruzione, spingono le famiglie ad accantonare fondi per accedere ai servizi privati. Il tasso di risparmio, che era lievemente calato nel decennio precedente, ha ripreso a salire dopo la pandemia.

Nonostante l’austerità fiscale, il bilancio pubblico si è deteriorato, per effetto delle minori entrate connesse alla crisi immobiliare. Il deficit pubblico dovrebbe attestarsi quest’anno intorno al 7 per cento del prodotto lordo e non è previsto diminuire nei prossimi, mentre il debito pubblico continua ad aumentare, dal 90 per cento quest’anno a quasi il 110 per cento – non sostanzialmente diverso da quello statunitense – entro la fine di questo decennio.

La politica monetaria rimane relativamente restrittiva, preoccupata da un possibile deprezzamento dello yuan che potrebbe innescare fuoriuscite di capitale. Per evitare il calo eccessivo dei tassi a lungo termine, che potrebbe minare ulteriormente la fiducia, la Banca centrale ha messo in atto nuove misure non convenzionali, che vincolano il portafoglio delle banche, con effetti potenzialmente restrittivi sulla loro capacità di prestare alle imprese.

In termini strutturali, l’azione pubblica continua a privilegiare i settori ad alta tecnologia, nei quali la Cina ha indubbiamente sviluppato delle eccellenze mondiali. Tuttavia, la debolezza della domanda interna spinge le aziende a ridurre i costi, a cominciare dai salari, e a cercare sbocchi commerciali principalmente all’estero. Gli investimenti privati esteri sono in calo, a seguito del graduale disimpegno di molte aziende straniere, intente a ridurre il rischio geo-politico e preoccupate da una regolamentazione sempre più invasiva. La combinazione di queste politiche accentua le pressioni deflazionistiche. Il potenziale di crescita economica è previsto scendere sotto il 4 per cento, e secondo alcuni si avvicinerebbe al 3 nei prossimi anni. L’inflazione rimane bassa, prossima allo zero.

La priorità del governo rimane il raggiungimento dell’autonomia strategica nei settori tecnologici. Questo obiettivo non sembra tuttavia in grado di generare un aumento sufficiente di consumi privati, soprattutto nel settore dei servizi, tale da sostenere una crescita autosufficiente. Inoltre, l’attivo commerciale provoca crescenti tensioni con il resto del mondo. Non sembra esserci piena consapevolezza che, per una economia che rappresenta oramai il 17 per cento del prodotto mondiale, un modello di sviluppo basato sulle esportazioni produce effetti fortemente deflattivi sul resto del mondo.

Senza un cambiamento di rotta, difficile da innescare in un contesto decisionale molto centralizzato, l’economia cinese rischia di non uscire dalla così detta “trappola del reddito medio” che impedisce di raggiungere uno standard di vita elevato per l’intera popolazione. Un tale insuccesso potrebbe avere conseguenze geopolitiche imprevedibili.

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