Il nuovo governo francese si sposta a destra. E sarà molto poco macronista

Dopo due settimane di negoziati travagliati l’esecutivo è prossimo all’ufficializzazione: ci saranno molti nomi legati al François Fillon, esponente dell’ala più conservatrice del partito gollista, les Républicains. Ecco chi sono i ministri scelti dal neopremier Michel Barnier

Parigi. La “droite Trocadéro” al potere, dicono alcuni, la rivincita di François Fillon, dicono altri. Di certo il nuovo governo francese, prossimo all’ufficializzazione dopo due settimane di negoziazioni travagliate, ha assai poco di macronista – con tutto ciò che implica l’aggettivo, rupture, società civile e volti freschi della politica – e molto invece di fillonista, visto che diversi nomi proposti dal neopremier Michel Barnier al presidente della Repubblica Emmanuel Macron sono quelli che nel 2017, al Trocadéro, la piazza storica della destra tradizionalista, si erano riuniti attorno a François Fillon, esponente dell’ala più conservatrice del partito gollista (les Républicains, Lr), allora favorito per diventare l’inquilino dell’Eliseo.

Tra i futuri ministri rappresentanti dell’ala più dura di Lr, spicca Bruno Retailleau. L’attuale capogruppo dei senatori gollisti ed ex pretoriano di Fillon, sarà il nuovo inquilino di Place Beauvau, sede del ministero dell’Interno, il dicastero dei segreti e dei dossieraggi. Retailleau, senatore vandeano, ha da sempre posizioni muscolari sulla sicurezza e l’immigrazione, e in queste ore l’opposizione di sinistra ricorda anche il suo passato da militante


contro la legge sui matrimoni gay (la loi Taubira) nel movimento Manif pour tous, oltre che il suo voto contrario alla costituzionalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza lo scorso marzo.




L’altro nome che sta suscitando indignazione sia nel Nuovo fronte popolare, la coalizione delle sinistre socialista, ecologista, comunista e mélenchonista che resterà fuori dall’esecutivo, sia nell’ala sinistra della macronia, è quello di Laurence Garnier, senatrice gollista della Loira-Atlantica, proposta al ministero delle Famiglie. Garnier, come Retailleau, è stata una pasionaria della Manif pour tous e ha votato contro l’iscrizione dell’Ivg nella Costituzione: la sua nomina, dalla gauche e dalle associazioni Lgbt, è vista dunque come una provocazione, come un ritorno al passato in termini di diritti civili.




Secondo le ultime indiscrezioni, Macron avrebbe chiesto a Barnier di escluderla dalla lista dei ministri, ma l’ultima parola spetta comunque a Barnier. “È Michel Barnier che fa da arbitro: è il suo governo. Costituzionalmente, non è il presidente della Repubblica che boccia direttamente qualcuno. Non blocca. Ma può lanciare l’allarme su un profilo”, ha spiegato un ex ministro in forma anonima a BfmTv. Il deputato


Lr Patrick Hetzel, sulla stessa linea ideologica di Retailleau e Garnier, è il favorito per diventare il prossimo ministro dell’Università. La ministra del Lavoro uscente, Catherine Vautrin, altro profilo gollista e Macron-compatibile criticata dalle sinistre per le sue posizioni conservatrici sui diritti Lgbt, potrebbe conservare il suo posto o assumere le redini di un altro dicastero (ministra dei Territori).

Così come altri due ministri dimissionari cresciuti nell’ex Ump, oggi Lr, prima di unirsi a Emmanuel Macron: Sébastien Lecornu (Difesa) e Rachida Dati (Cultura). Il primo dovrebbe restare nel suo ministero, mantenendo la delega agli Eserciti, ed essere affiancato da un altro gollista, Jean-Louis Thiériot, deputato Lr della Seine-et-Marne, che avrebbe la responsabilità della Difesa; la seconda attende di capire se resterà alla Cultura o se andrà all’Istruzione. Michel Barnier ha proposto al presidente francese 38 nomi, la maggior parte dei quali con la tessera di Ensemble pour la République, il partito di Macron, dei centristi del MoDem e di Horizons. I Républicains dovrebbero ottenere 9 portafogli ministeriali, ma contando anche i ministri che hanno fatto carriera all’interno dell’Ump o di Lr il numero di gollisti nel prossimo esecutivo potrebbe salire a 15. Una vittoria per un partito che alle legislative ha raccolto appena l’8 per cento.

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