Il falso divieto sulle armi italiane a Kyiv. Controstoria

I partiti italiani offrono uno show desolante in Ue sulla risoluzione a favore dell’Ucraina. Ma dietro al palco c’è una realtà: i divieti formali sull’uso delle armi offerte dall’Italia esistono davvero? No: neanche uno

Che differenza c’è tra palco e realtà? Il Parlamento europeo, ieri, come sapete, ha messo ai voti una risoluzione politicamente rilevante. La risoluzione aveva al centro l’Ucraina, dove oggi andrà in visita Ursula von der Leyen, e aveva al centro la necessità da parte dei paesi membri di continuare a sostenere anche con le armi lo sforzo eroico di una democrazia aggredita. In uno degli articoli del testo votato in Aula vi era un passaggio delicato, l’articolo 8, costruito per provare a misurare quali fossero i paesi e quali i partiti ancora titubanti di fronte alla richiesta disperata da parte del presidente ucraino di consentire all’esercito di Kyiv di utilizzare le armi offerte dai paesi occidentali per colpire le basi russe da cui partono gli attacchi verso l’Ucraina. Il voto in Aula è stato un successo straordinario per l’Europa – il testo complessivo, non vincolante, è passato con 425 voti favorevoli, 131 voti contrari, 63 astenuti – e un mezzo disastro politico per l’Italia. Le delegazioni di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Partito democratico, con l’eccezione di Marco Tarquinio e Cecilia Strada, hanno votato a favore del testo finale sul supporto dell’Ue all’Ucraina, il che è ovviamente una buona notizia (la Lega di Vannacci e Salvini evidentemente no, e lo stesso ha fatto il M5s a trazione orbaniana guidato da Giuseppe Conte).

A dare l’indicazione di votare a favore dell’articolo numero 8 invece non c’è stato un solo partito italiano. E il risultato è che tutti i principali partiti del nostro paese si sono di fatto allontanati dalla linea espressa dai loro gruppi di riferimento (viene da FI la metà degli eurodeputati del Ppe che hanno votato contro l’articolo 8, sono del Pd nove dei quattordici eurodeputati del Pse che hanno votato contro l’articolo 8, Fratelli d’Italia ha votato in modo difforme dai polacchi del PiS, alleati di FdI in Ecr). Il palco che si presenta di fronte a noi è desolante, politicamente e culturalmente, perché mostra un’Italia che sul tema della difesa dell’Ucraina è una delle pecore nere d’Europa, Ungheria a parte. E’ un quadro desolante per il governo, la premier, Giorgia Meloni, nel 2022 aveva trovato l’occasione di farsi apprezzare nel mondo per via della sua sorprendente posizione a sostegno di una democrazia aggredita da un terrorista sanguinario di nome Vladimir Putin.

Ed è un quadro desolante anche per l’opposizione, la cui identità fieramente antifascista non può che essere rimessa in discussione nel momento in cui si chiede all’Ucraina di non fare tutto il necessario per difendersi da un dittatore le cui movenze ricordano (il paragone è di Sergio Mattarella, del 24 luglio 2024) quelle del Terzo Reich di Adolf Hitler. Il palco, come si diceva, è desolante. Ma dietro al palco, come cantava Luciano Ligabue, c’è una realtà interessante, e poco raccontata, che coincide con la risposta a una domanda alla quale si può provare a rispondere: ma perché quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky parla del sostegno dell’Italia all’Ucraina non fa mai riferimento al divieto di utilizzare quelle armi fuori dai confini dell’Ucraina? L’Italia, come è noto, offre all’Ucraina già oggi alcune armi a lunga gittata. Per esempio, i missili da crociera Storm Shadow, abitualmente impiegati dai velivoli da combattimento ucraini (Sukhoi Su-24M). Per esempio, il Multiple Launch Rocket System (Mlrs), un sistema di artiglieria lanciarazzi multiplo utile per colpire con estrema precisione obiettivi militari. In teoria, stando alle parole di alcuni ministri del governo, l’Italia avrebbe “vietato” all’Ucraina di usare queste armi per colpire obiettivi in Russia.

Nella pratica, però, come raccontano al Foglio fonti militari qualificate, il divieto verbale non ha un suo corrispettivo formale. E se non esiste una sanzione in grado di rendere effettivo un divieto non ci vuole molto a capire qual è la realtà delle cose. A parole, l’Italia, per questioni di propaganda elettorale, tiene a far sapere di voler stare un passo indietro rispetto agli alleati, nel sostegno all’Ucraina. Nei fatti, il passo indietro esiste solo nella teoria e non nella pratica, non esistendo un solo atto formale in grado di dimostrare che l’Italia impedisce all’Ucraina di usare le armi che le offre per fare quello che crede (le regole di ingaggio, come si sa, sono secretate). Non è un caso, dunque, che quando Zelensky ragiona pubblicamente su cosa l’Italia potrebbe fare di più per aiutare l’Ucraina la sua attenzione è rivolta a un unico punto: avere più Samp/T a disposizione per organizzare al meglio la propria difesa aerea. Zelensky lo ha chiesto pubblicamente cinque giorni fa. Due giorni fa a questa domanda il ministro della Difesa ha risposto così: “Entro fine mese il nuovo sistema Samp/T sarà consegnato in Ucraina e sappiamo quanto costi ogni minuto di ritardo”. Il palco è grottesco, e a tratti tragico, ma la realtà forse ci dice che quello che dal palco non si vede non vale meno di quello che c’è sul palco. Viva l’Ucraina.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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