Casini: “Scontro politica-toghe? il processo a Salvini non c’entra niente”

L’ex presidente della Camera al Foglio: “La maggioranza attacca ai giudici, ma sulla vicenda Open Arms è la politica che si è aggrovigliata da sola e ora vuole scaricare sui magistrati le proprie timidezze”

“Il problema qui – premette Pier Ferdinando Casini – è non fare confusione: il processo a Salvini sulla vicenda Open Arms non c’entra niente con trent’anni di battaglie tra politica e magistratura”. Eppure il vicepremier e segretario della Lega lascia intendere che alla procura di Palermo ci sia qualcuno che, per ragioni di parte, ce l’ha con lui. Parla di “processo politico”. Gli si contestano reati gravi: omissione d’atti d’ufficio, ma soprattutto sequestro di persona. “Vedo in effetti che la maggioranza di governo vagheggia già persecuzioni giudiziarie e attacca i giudici, ma in questa vicenda la magistratura c’entra poco o non c’entra affatto”, dice Casini. “I giudici si stanno limitando ad applicare delle leggi che esistono perché la politica, con un voto che serve a far da filtro tra i comportamenti di un ministro e le fattispecie penali, ha dato il via libera a questo processo”.


Una vita da democristiano, ex presidente della Camera, oggi senatore del Pd, Casini, 68 anni, da 41 in Parlamento, cerca di far valere l’esperienza per spiegare il suo punto di vista: “Dobbiamo ristabilire la distinzione tra i poteri e la possibilità che ciascuno rientri nelle sue competenze, evitando questo perenne conflitto tra potere politico e giudiziario, altrimenti si rischia di fare insensate polemiche reciproche, come in questo caso”. Parte da lontano. “Quando entrai in Parlamento – ricorda – c’era una legge sui contributi e le spese elettorali che in teoria obbligava tutti i candidati che avessero ricevuto contributi superiori a cinque milioni di lire a dichiararli. All’atto di proclamazione delle elezioni scoprii con mia grande sorpresa che ero stato uno dei pochissimi in Italia a farlo. La legge sulla violazione del finanziamento dei partiti esisteva già, ma c’era anche una convenzione tacita tra il potere politico e quello giudiziario per cui queste irregolarità non le contestava nessuno. Probabilmente era un’epoca in cui c’era un’implicita subalternità del potere giudiziario alla politica. Con Tangentopoli il pendolo di questa relazione tra poteri ha cambiato lato: la politica è stata delegittimata da un attacco giudiziario a 360 gradi. Eppure si può accusare la magistratura di aver applicato una legge che sino ad allora era stata ignorata? Si e no perché la legge c’era e andava rispettata”.

Andando avanti nel tempo Casini ricorda: “Ormai dieci anni fa, con il governo Monti, facemmo la legge su traffico di influenze, era una richiesta a livello europeo ed era in qualche modo anche un invito del clima politico di quegli anni. Con quella legge abbiamo dato uno strumento di contestazione della politica ai giudici dai confini assai incerti, al punto che, portando all’estremo il tema del traffico d’influenze, si è arrivati all’eccesso che anche una telefonata innocua rischia di diventare parte di un reato. Questa fattispecie legislativa è stata usata male da alcuni magistrati. Con tutto questo difficile equilibrio però – conclude il senatore – il caso Salvini non c’entra davvero nulla. Oggi la maggioranza scarica sulla magistratura una responsabilità che è stata la politica a darle, mentre l’opposizione spera che alla fine a Salvini non venga inflitta una condanna troppo pesante perché diventerebbe un martire dello scontro partiti-toghe. In questa vicenda insomma la politica si è aggrovigliata da sola. Per questo io che pure trovavo pessima la politica di Salvini da ministro dell’Interno non votai a favore dell’autorizzazione a procedere nei suoi confronti: era interesse di tutti tenere questa storia sotto il profilo politico, mentre adesso, in modo non giustificato, sta diventando parte di un ennesimo capitolo nel contenzioso tra giudici e politica. Così, paradossalmente, si è fatto un favore a Salvini. Il punto decisivo è sempre lo stesso: la politica è in condizione di recuperare la sua centralità e il suo primato? Se lo è lo faccia con le regole dello stato di diritto. Altrimenti eviti delle litanie ipocrite: non possiamo ogni volta scaricare sui magistrati le timidezze e le incertezze che abbiamo noi”.

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