Rep. sfregia l’Irpinia, De Mita e Scalfari solo per fare un dispetto a Piantedosi

Per il giornale il ministro degli Interni ha organizzato il G7 in un posto “sperduto nel nulla” dove ci sono “carri e buoi”, facendo “un’operazione di potere in stile demitiano”. La provincia di Avellino non sarà la Silicon Valley, ma ci sono eccellenze e non è così sperduta: a Nusco, in pellegrinaggio da De Mita, ci andava anche il Fondatore di Repubblica

Mirabella Eclano non è certo Las Vegas, nel senso che non è il centro sfavillante della modernità, ma anche nel senso che non è una città nel deserto. Il sospetto viene leggendo un recente reportage di Repubblica che, con l’obiettivo di attaccare il ministro Matteo Piantedosi che ha organizzato il G7 dei ministri dell’Interno “sulle colline di casa sua”, descrive questo comune come “un piccolo centro sconosciuto ai più, sperduto nel nulla”: “Avellino non ha neanche una stazione ferroviaria”, è raggiungibile solo dopo decine di chilometri di “strade da incubo”.

Si tratta di “terre abbandonate”, che non hanno “nessun legame” con i temi del G7 come “traffico dei migranti, cybersicurezza, intelligenza artificiale”, dove invece si ripetono riti arcaici come il trascinamento “con carro e buoi” di un obelisco di paglia: “Eccola la Nusco di Piantedosi”, scrive l’inviata, rievocando il legame indissolubile dell’irpino Ciriaco De Mita con il suo paese. Il senso, insomma, è che Piantedosi abbia deciso di trascinare i grandi della terra in un posto dimenticato da Dio e dagli uomini al solo scopo di “costruire un sistema di relazioni di potere nell’Irpinia che fu di De Mita”, come dice una voce dal campo.

Sarà che quelle zone un po’ le abbiamo vissute ma, al netto dell’enfasi che ci mettono i giornalisti inviati al fronte, ci sono modi migliori per colpire Piantedosi senza fare della verità una vittima collaterale. Mirabella Eclano non è “un posto sperduto nel nulla”. Non ci si arriva facendo le strade della Parigi-Dakar – a meno che il navigatore non abbia fornito indicazioni errate – perché si trova a 5 chilometri dal casello autostradale (uscita Grottaminarda), a circa tre quarti d’ora dalla stazione di Afragola sulla linea ad Alta velocità Roma-Napoli e a un’oretta dall’aeroporto di Capodichino, da cui partono e arrivano aerei da e per tutto il mondo.

D’altronde non deve essere un luogo così inaccessibile se per l’antica Aeclanum (da cui il nome Mirabella Eclano) i romani fecero passare la via Appia, che da Brindisi arriva fino a pochi chilometri dalla sede di Repubblica. Insomma il resort Villa Orsini, dove a inizio ottobre si riuniranno i ministri del G7, è meglio collegato di Borgo Egnazia, dove Giorgia Meloni ha ospitato i Capi di stato. E Mirabella Eclano è sicuramente meno isolata di Ischia, dove il governo di centrosinistra organizzò il G7 dei ministri dell’Interno nel 2017. Non sarebbe stato meglio collegato se, come location, il ministro dell’Interno, avesse scelto un comune sulle colline senesi anziché irpine.

La provincia di Avellino non sarà la Silicon Valley, ma ci sono piccole eccellenze anche nell’informatica come la Acca software di Bagnoli Irpino, azienda leader nel Building Information Modeling. Definirlo “il G7 con carro e buoi” dà un’immagine di arretratezza che sottovaluta e sminuisce non solo le tradizioni religiose e popolari, che sono una caratteristica di questa nazione fatta di comuni e campanili, madonne e folclore, ma anche la tecnica artistica e architettonica che c’è nella realizzazione manuale di una struttura di legno e paglia alta 25 metri, che si ripete ogni anno da un secolo e mezzo.

Questo per dire che quei posti, che vivono le innegabili criticità di tutte le cosiddette aree interne, non meritano di essere sfigurate solo perché Piantedosi ha scelto di farci il G7. Come forse non lo merita neppure Ciriaco De Mita, che è stato segretario della Dc e Presidente del Consiglio, e viene descritto quasi come un boss di provincia. Ma soprattutto non lo merita il Fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che ebbe una forte infatuazione intellettuale e politica per De Mita con cui condivideva l’ostilità nei confronti di Bettino Craxi. Vedeva nel solo meridionale che ha guidato la Dc dopo Aldo Moro un modernizzatore del sistema politico nazionale, lo scardinatore dell’apparato democristiano: l’uomo del rinnovamento e della questione morale, più che il vertice di un sistema di potere locale.

All’inizio degli anni Ottanta, quando certamente i collegamenti erano peggiori di quelli odierni, Scalfari si fece accompagnare da Clemente Mastella a Nusco per conoscere meglio il nuovo leader democristiano. Quella giornata passata a casa dell’amico Ciriaco, tra i discorsi con la gente del paese e la passeggiata col codazzo, tra le “orecchiette ai broccoli” cucinati dalla signora Anna Maria e l’“interminabile tressette” di rito, è ricordata da Scalfari nelle pagine di “La sera andavamo in Via Veneto” dedicate all’Intellettuale della Magna Grecia. “Il sole era al tramonto quando rimontammo tutti in macchina – scrive Scalfari – e con grandi movimenti di forme di cacio e bottiglie che venivano stipate nel portabagagli come se si dovesse fronteggiare di lì a poco un lungo assedio, la carovana partì per Roma”.

È la descrizione, da perfetto inviato, di un mondo contadino in trasformazione: nel figlio del sarto diventato leader politico nazionale convivevano la semplicità popolare e l’ambizione di modernizzare il paese. Ciò su cui il mondo progressista farebbe meglio a interrogarsi è perché oggi la destra vince in queste zone dell’Appennino che per decenni sono state un feudo prima della sinistra Dc e poi del centrosinistra. Sfregiare l’Irpinia, la figura di De Mita e pure la memoria del Fondatore solo per fare un dispetto a Piantedosi è tanto eccessivo quanto inutile.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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