Un’Italia che ce la fa: il discorso di Meloni all’assemblea di Confindustria

La crescita che va, il lavoro che aumenta, la Borsa che cresce e il giusto equilibrio tra politica e imprese. La premier lancia un inaspettato patto sulla produttività all’assemblea di Confindustria, alla prima del presidente Orsini

Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni all’Assemblea di Confindustria, la prima guidata dal nuovo presidente Emanuele Orsini.


Voglio fare i complimenti al presidente Orsini per l’accento che poneva sul tema della responsabilità sociale da impresa. Chiaramente una responsabilità sociale che va a beneficio dei lavoratori, della comunità, sono, come si sa, aspetti ai quali Confindustria ha sempre dedicato un’attenzione che tuttavia non era scontata. È un passaggio che voglio sottolineare perché, mentre il Presidente Orsini parlava, le sue parole mi hanno fatto tornare alla mente quelle di un altro, di un grande imprenditore, di un grande italiano, di un uomo che nell’industria italiana ha lasciato un’impronta indelebile e quell’uomo è Adriano Olivetti. Diceva Adriano Olivetti che la fabbrica non può guardare solamente all’indice dei profitti, che deve distribuire ricchezza, certo, ma anche cultura, servizi, democrazia. Diceva Adriano Olivetti “io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”. Penso che sia un insegnamento straordinario che ha permeato il tessuto industriale italiano, che lo ha reso quello che è, ovvero un tessuto produttivo che è fondato sul profitto, ma anche sulla capacità di creare valore sociale, di essere attento ai bisogni delle famiglie, di essere attento ai bisogni dei lavoratori, di portare ricchezza nei territori dove opera, di guardare allo sviluppo della Nazione a 360 gradi. Credo che si debba, non per piaggeria, ma sinceramente ringraziare l’impresa italiana, l’industria italiana e Confindustria per questo e penso che sia competenza del Governo dire questo grazie.

Quindi grazie per quello che le imprese hanno fatto in termini di costruzione di valore sociale. Condivido poi le premesse della relazione nella quale il Presidente Orsini ricordava gli anni molto difficili che ci siamo lasciati alle spalle, anni che però hanno avuto un pregio, se vogliamo, che è quello di mostrare nella difficoltà la capacità di resistenza del nostro tessuto produttivo e ancora più la capacità del nostro tessuto produttivo di sapersi distinguere di fronte alle difficoltà smettendo i pronostici.

La capacità del nostro tessuto industriale è, diciamo così, stata spesso sottovalutata. Però fatevi dire da qualcuno che è abituato a essere sottovalutato, che arriva nella storia di tutti il momento in cui si ha la possibilità di vivere una stagione nella quale non conta più quello che si dice, quello che si pensa o quello che si presuppone, conta il valore che le persone hanno e conta quello che è, non quello che si vorrebbe. Per voi quel momento è arrivato con gli shock che hanno investito l’Europa e il mondo, la pandemia prima, la guerra in Ucraina poi.

Perché le crisi in fondo nascondono anche sempre un’opportunità, per voi l’opportunità è stata quella di dimostrare quanto l’Italia, grazie al suo tessuto produttivo, fosse alla fine dei conti più tenace di altri. Questo ci ha reso tutti più consapevoli e quella consapevolezza consente oggi al governo di guardare al quadro economico, nonostante tutto, con positività, vorrei dire con ottimismo, una parola che si usa poco in Italia, soprattutto, insomma, il continuo allarmismo, le previsioni che ovviamente non sono quasi mai favorevoli.

Noi dobbiamo, penso, essere insieme soddisfatti per i risultati che abbiamo raggiunto, soprattutto se teniamo in considerazione il contesto nel quale abbiamo operato in questi ultimi due anni o poco meno. Lo ricordava il Presidente Orsini, l’impennata del costo dell’energia e dell’inflazione, la conseguente politica monetaria restrittiva della Banca Centrale Europea, il generale rallentamento dell’economia mondiale, lo scenario geopolitico particolarmente instabile, particolarmente incerto, che chiaramente produce conseguenze inevitabili che impattano sull’economia, il tutto mentre noi ancora stavamo cercando di risollevarci dalla crisi pandemica che aveva stravolto molti dei paradigmi economici e sociali dell’intero Occidente. Era un quadro che avrebbe fatto probabilmente tremare i polsi a chiunque e che qualcuno, in un’Italia nella quale troppo spesso si tende a privilegiare l’interesse di parte all’interesse nazionale, forse aveva sperato potesse contribuire a un repentino fallimento dell’attuale Governo.

Quante volte abbiamo sentito parlare dell’innalzamento dello spread, con annesso già Governo tecnico, addirittura di crack dell’Italia. Le cose sono andate diversamente. Sono andate diversamente perché i principali indicatori macroeconomici ci restituiscono la fotografia di un’Italia che supera le difficoltà meglio di altre Nazioni, particolarmente meglio di altre grandi Nazioni europee. È merito del Governo? Ovviamente no. L’ho detto tante volte, sono una persona troppo seria per prendersi meriti che non sono suoi. Il merito è delle imprese e dei loro lavoratori, è della loro tenacia, è della loro intraprendenza, è della loro creatività. È un fatto. Ho tentato di spiegare e di dire molte volte che non è lo Stato a creare ricchezza, questo voi lo sapete molto bene, non è lo Stato a creare ricchezza. La ricchezza la creano le imprese e i loro lavoratori.

Che cosa deve fare lo Stato? Deve fare la sua parte, che è quello che questo governo ha cercato di fare. Fare cioè quello che spetta al governo, lavorare per creare un ambiente il più possibile favorevole alle imprese, mettere quelle imprese e quei lavoratori nella condizione di fare il loro mestiere al meglio.

Abbiamo garantito una stabilità che in Italia è un’eccezione, perché la certezza è una precondizione per qualsiasi investimento. Abbiamo disegnato una strategia per questa nazione, perché chi investe in fin dei conti scommette su un’idea, scommette su una visione. Se non ci sono idee non ci possono essere neanche investimenti. Abbiamo sostenuto quegli investimenti e l’occupazione necessaria a realizzare quegli investimenti perché l’Italia fosse più attrattiva. Abbiamo dato chiaro il messaggio che lo Stato non avrebbe disturbato chi voleva fare, ma gli avrebbe camminato accanto come un alleato, non come un avversario. Abbiamo detto anche no, quando dei no andavano detti, perché i soldi dei cittadini non si gettano dalla finestra e quando i soldi non sono spesi adeguatamente bisogna avere anche il coraggio e la forza di dire di no. Avevamo poche risorse, le abbiamo concentrate su quello che avrebbe portato un moltiplicatore maggiore in termini di ricchezza diffusa, come avrebbe fatto qualsiasi imprenditore avveduto, come avrebbe fatto qualsiasi famiglia responsabile. Ecco il risultato del vostro lavoro e della nostra postura.

Nel 2023 l’Italia cresce più del doppio della media UE e dell’Eurozona, l’Italia cresce del + 0,9, con una media europea + 0,4, per quest’anno la Commissione europea prevede che l’Italia cresca dello 0,9, una previsione più alta di quella prevista per l’Eurozona, di quella prevista per la Germania, di quella prevista per la Francia. Stiamo andando meglio degli altri anche se sarebbe stupido rallegrarsene perché la debolezza, come si ricordava correttamente, di alcune economie europee frena anche la nostra di crescita, soprattutto l’industria tedesca, che è chiaramente per molte delle nostre imprese uno sbocco fondamentale. Io sono fiduciosa che si possa fare qualcosa di meglio rispetto alle previsioni della Commissione, continuo a ritenere che l’obiettivo dichiarato nella scorsa legge di bilancio del più 1% sia a portata di mano, soprattutto dopo l’andamento registrato nei primi due trimestri dell’anno. Chiaramente, ogni trionfalismo sarebbe inutile, infantile in questo contesto, però penso che possiamo dirci che non era scontato vedere l’Italia crescere più della media europea, andare meglio di economie come quella francese e tedesca, soprattutto dopo anni che avevamo trascorso in fondo alle classifiche.

E non parlo degli anni del Covid, nel 2019, l’anno precedente al Covid, l’Italia registrava il peggiore risultato tra tutte le nazioni europee per andamento del prodotto interno lordo. Cresceva dello 0,5 per cento, un quarto della media UE, un terzo della media dell’Eurozona e allargando l’analisi al quinquennio precedente l’economia italiana cresceva complessivamente meno della metà della media dell’Unione europea. È un dato incoraggiante, non è l’unico dato incoraggiante, ce ne sono altri.

I risultati della Borsa, brillanti. La Borsa ha recuperato, superato il livello pre-crisi finanziaria del 2008, sta facendo registrare la migliore performance in Europa, tra le migliori performance al mondo. Lo spread a un livello di circa 100 punti di base inferiore rispetto a quello dell’ottobre 2022. Il ritrovato appeal dei titoli pubblici italiani, questo è uno dei dati che a me piacciono di più, è di pochi giorni fa l’emissione del nuovo BTP a 30 anni, alla quale hanno partecipato oltre 400 investitori per una domanda complessiva che ha superato i 130 miliardi di euro a fronte degli 8 miliardi che offriva il Tesoro. È il valore della fiducia che viene riposta nell’Italia ed è un valore record che non si era mai registrato prima.

E poi ovviamente il mercato del lavoro. I dati Istat di luglio ci dicono che abbiamo superato per la prima volta 24 milioni di lavoratori. Mai così tanti italiani avevano lavorato dall’unità d’Italia a oggi. Il tasso di occupazione generale ha raggiunto il 62,3%, quello di occupazione femminile il 53,6%, superando per la prima volta il tetto di 10 milioni di donne lavoratrici.

Anche questo è qualcosa su cui il governo ha lavorato, concentrando le risorse particolarmente sulle mamme lavoratrici, perché io penso che questo sia il modo per garantire la vera libertà delle donne, non vedere chiudersi una strada se se ne intraprende un’altra, poter mettere al mondo dei figli e poter ambire di avere un posto di lavoro. È la grande sfida dell’occupazione femminile in Italia e delle donne.

Tendenza opposta è il tasso di disoccupazione che scende a luglio al 6,5 per cento, il più basso dal 2008. Dall’ottobre del 2022 si contano circa 750.000 occupati in più, 408.000 sono donne, è un’occupazione di qualità, visto che salgono gli occupati a tempo indeterminato, diminuiscono determinato. Aumentano anche gli autonomi, 248 mila in più. Sempre più persone si mettono in gioco. Anche qui, se facessimo un raffronto con i dati pre-pandemia, quel raffronto sarebbe abbastanza eloquente. Rispetto a luglio 2009, il tasso di occupazione è aumentato di tre punti percentuali, quello delle donne di 3,3, il tasso di disoccupazione è sceso di oltre tre punti.

Ci basta, ci accontentiamo, significa che va tutto bene? No, ovviamente no. Significa che le cose vanno un po’ meglio, che noi dobbiamo crederci di più, dobbiamo lavorare di più, questo dal lato del Governo, dobbiamo essere ancora più efficaci.

Il prossimo obiettivo che abbiamo davanti, fermo restando l’intenzione di dare continuità a questa tendenza di aumento occupazionale, è aumentare la produttività del lavoro. Sono perfettamente d’accordo con quello che diceva il Presidente Orsini. Su questo fronte noi rimaniamo distanti dalle principali economie europee, la dinamica italiana è una dinamica inferiore rispetto alla media europea e quindi aumentare la produttività è una priorità assoluta per questo Governo. E’ una delle materie sulle quali, Presidente Orsini, mi aspetto che noi si possa scendere nel merito e valutare insieme tutte le proposte che sono quelle, chiaramente, che voi considerate più efficaci.

Dopodiché, ovviamente, aumentare la produttività significa non solo aumentare la competitività del nostro sistema produttivo, ma dare la spinta ulteriore al PIL, favorire la crescita dei salari, che è stata dall’inizio una delle nostre priorità, veniva correttamente ricordato. Stanno dando anche i salari dei segni di ripresa. Da ottobre 2023, dopo circa tre anni che perdevano potere d’acquisto, a causa di un aumento significativo del costo della vita, le retribuzioni hanno iniziato a recuperare terreno rispetto all’inflazione, accelerando questa tendenza nei primi mesi del 2024. E alla fine, in questi mesi le retribuzioni medie contrattuali sono aumentate del 3,1 rispetto allo stesso periodo del 2023. Merito anche qui, veniva ricordato, i contratti, merito della contrattazione, merito delle parti sociali, merito anche di un lavoro di accompagnamento che il governo ha fatto, chiaramente con le sue iniziative, e anche, per esempio, avviando la stagione dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego che è stata avviata nel 2023 e che intendiamo accelerare nel 2024.

E tutto questo è stato anche il risultato di una scelta precisa che il Governo ha fatto, cioè quella di concentrare gran parte delle risorse che aveva a disposizione in pochi provvedimenti che avevano tutti lo stesso obiettivo, e cioè sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori. Il taglio del cuneo contributivo con reti di fino a 35.000 euro, l’esonero contributivo per le mamme lavoratrici con almeno due figli, gli interventi di detassazione sul fringe benefit, sui premi di produzione, interventi che hanno un impatto sensibile e tangibile sul netto in busta paga dei lavoratori, che l’indice Istat non rileva, essendo un indice che, come sapete, è calcolato al lordo delle imposte e dei contributi, e quindi l’aumento netto effettivo va al di là di quanto viene rilevato da questo indice. Anche qui sappiamo che è un bene e sappiamo che non è sufficiente.

Noi vogliamo proseguire in questa direzione con la nuova manovra, sulla quale ho ascoltato molte proposte assolutamente sensate. Chiaramente c’è un tema di responsabilità nella gestione seria delle risorse e nella gestione seria della nostra politica di bilancio, con un nuovo patto di stabilità che, come sapete, si apre quest’anno e con il quale dobbiamo ovviamente fare i conti, ma ho sentito molte risposte sensate e chiaramente sono risposte sulle quali siamo pronti a un confronto molto concreto nel merito.

Noi intendiamo però su questo – voglio insomma essere abbastanza chiara – seguire la stessa impostazione che abbiamo avuto finora e che mi pare qui condivisa e ringrazio per questo. Leggi di bilancio ispirate a buonsenso, leggi di bilancio ispirate alla serietà, che concentrano le non molte risorse a disposizione nel sostegno alle imprese che assumono e creano posti di lavoro, nel rafforzamento del potere d’acquisto delle famiglie, con particolare attenzione alle famiglie con figli non per scelta etica ma per necessità economica, come si ricordava, e nella difesa della salute dei cittadini.

Non solo sulla legge di bilancio, Presidente Orsini, sono pronta a un confronto e ho trovato molti spunti interessanti, anche sul tema della burocrazia. Mi faccia dire che in alcuni casi in questi due anni di Governo mi sono sentita esattamente come, immagino, si senta un imprenditore quando cerca di risolvere dei problemi e si trova un sacco di gente che non vuole aiutare a risolvere quei problemi. Credo che questo sia un tema che va affrontato con determinazione.

Quindi questo per quello che riguarda la legge di bilancio, chiaramente anche ascoltando le parti sociali, anche ascoltando i sindacati, noi alla fine definiremo quali sono i provvedimenti che possono dare il moltiplicatore maggiore, seguendo l’impostazione che abbiamo avuto in questi anni. Ci saranno queste priorità, quelle che noi abbiamo continuato a indicare. Non ci saranno altre cose, non ci saranno i bonus per ristrutturare la seconda e la terza casa, non ci sarà il reddito di cittadinanza per chi può lavorare, non ci saranno i bonus. Tutto questo non c’è perché è definitivamente chiusa quella stagione e credo che l’Italia avesse bisogno di chiudere questa stagione. Dire basta a questo, diciamo, costume di gettare un po’ i soldi dalla finestra per ottenere consenso facile della politica italiana è il vantaggio di chi dispone di una legislatura e non di un anno per disegnare la sua visione e per costruirla, per immaginare una strategia e per perseguire quella strategia.

È una novità per l’Italia ed è una novità importante perché noi abbiamo pagato l’instabilità dei governi e le degenerazioni che quell’instabilità comportava più di ogni altra malattia del nostro sistema. Come abbiamo pagato economicamente il malfunzionamento della giustizia, come abbiamo pagato in termini di competitività dell’Italia la scelta di chi pensava che l’unica risposta possibile per combattere il divario del Mezzogiorno fosse spendere soldi per tamponare invece che per risolvere.

È per questo che abbiamo avviato le tante temute, discusse, non saprei come dire, riforme del premierato, della giustizia, dell’autonomia differenziata, perché io non sarei in pace con la mia coscienza se per quieto vivere non andassi a fondo dei problemi strutturali che questa Nazione si trascina da decenni, faremo quello che va fatto. Nonostante, ovviamente, le molte opposizioni, spesso di chi preferisce magari mantenere tutto come è per potersene lamentare o per poter utilizzare quelle difficoltà a proprio vantaggio. Però tanto alla fine saranno gli italiani a decidere se vogliono rimanere nel passato che hanno conosciuto o vogliono entrare in un futuro che potrebbe essere migliore. La democrazia alla fine del giorno è sempre un vantaggio per tanti e un problema solamente per pochi.

Dicono che con il premierato noi vogliamo mettere il potere nelle mani di una sola persona, anche se non cambiano i poteri del premier. La verità è che noi vogliamo rimettere il potere nelle mani di quelli che la Costituzione riconosce come i depositari della sovranità, che sono i cittadini. Dicono che vogliamo fare la riforma della giustizia per controllare la magistratura, solo che invece noi togliamo il potere della politica di scegliere una parte dei membri del CSM per costruire un sistema che finalmente liberi la stragrande maggioranza dei giudici che vogliono fare bene il loro lavoro dal gioco delle correnti politicizzate.

Dicono che vogliamo dividere il Nord dal Sud, come se fossero uniti, come se un divario non esistesse in Italia, come se quel divario non fosse aumentato negli ultimi anni, negli ultimi decenni. E come se questo Governo non avesse già dimostrato, fatti alla mano, di avere tra le sue priorità proprio quella di consentire al Mezzogiorno di dimostrare finalmente il suo valore, libero dai condizionamenti della politica e anche dai condizionamenti della clientela.

E forse è proprio questo che spaventa, dirò come la penso. Perché il problema dell’autonomia differenziata non è che crea un divario tra Nord e Sud, il problema dell’autonomia differenziata è eventualmente che può creare un divario tra le classi dirigenti responsabili e quelle che responsabili non sono state, al Nord come al Sud.

E anche qui si può raccontare qualcosa fatti alla mano. Nel 2023 il prodotto interno lordo del Mezzogiorno è cresciuto dell’1,3% più della media nazionale. L’occupazione al Sud è aumentata in misura maggiore rispetto al resto d’Italia. Gli investimenti sono saliti del 50%. Il Mezzogiorno ha dato la spinta decisiva all’export e sta rafforzando il suo tessuto imprenditoriale con aumento delle società di capitali e delle PMI innovative e con quasi il 30% delle start-up innovative esistenti in Italia.

Per capirci, in questo anno il Sud è stato la locomotiva economica d’Italia, invece di fare come spesso è accaduto il fanalino di coda. È stata una scelta, non è stato un caso. Noi abbiamo scommesso sull’orgoglio del Sud, sull’orgoglio di un Sud che non chiede assistenzialismo e sussidi, chiede di essere messo nella condizione di competere ad armi pari con il resto d’Italia. E questo si fa soprattutto con gli investimenti, si fa con le infrastrutture, perché se non ci sono infrastrutture tutto il resto che si produce non avrà uno sbocco. Siamo stati noi a introdurre una perequazione infrastrutturale per il Mezzogiorno d’Italia che arriva al 40 %, è una scelta molto precisa, è una scelta fatta di, diciamo così, non buoni propositi, ma mattoni che devono arrivare sul territorio per consentire a quegli imprenditori e a quei cittadini di poter competere ad armi pari. Lo abbiamo fatto con la ZES unica del Mezzogiorno, mi veniva ricordato, dal Presidente.

È stata una lunga, complessa negoziazione con la Commissione europea per ottenere una ZES unica che coinvolgesse tutte le Regioni del Mezzogiorno, ma fa parte dello stesso disegno: attrarre investimenti, creare un incentivo che possa creare un bilanciamento nelle opportunità e che consenta, come dicevo, di misurarsi ad armi pari.

È una grande occasione, come è una grande occasione ovviamente il PNRR. Lo è per l’Italia, lo è soprattutto per il Mezzogiorno. Io voglio rivendicare le scelte che abbiamo fatto. Rivendico il coraggio di rinegoziare il piano quando tutti dicevano che se solo avessimo tentato avremmo perso i soldi del PNRR, perché quella scelta ci ha permesso di liberare risorse che non avremmo speso adeguatamente e di spenderle per le reali priorità che abbiamo.

Rivendico il quotidiano, meticoloso lavoro, che abbiamo fatto quando tutti si aspettavano che l’Italia sarebbe stata ancora una volta fanalino di coda nella capacità di spesa dei Fondi europei per essere invece oggi la Nazione che sul PNRR e sui Fondi di coesione in questi due anni ha fatto scuola. Noi siamo la prima Nazione in termini di realizzazione del PNRR nonostante abbiamo il piano più corposo d’Europa.

Penso che dobbiamo esserne fieri, perché è un lavoro che abbiamo fatto tutti insieme. Non è un lavoro che ha fatto il Governo, l’hanno fatto le imprese, l’hanno fatto tutti i livelli amministrativi. L’ha fatto l’Italia, ed è una bella soddisfazione.

Ora entriamo nella fase più delicata, che è quella nella quale le risorse devono velocemente arrivare a terra. Non è un caso che io abbia personalmente presieduto molte delle cabine di regia del PNRR, l’ho fatto per dare il senso di quanto lo Stato, il Governo, tutte le istituzioni debbano essere concentrate su questo obiettivo, che è un obiettivo alla nostra portata, che è un obiettivo alla portata del nostro “Sistema Italia”, che è un obiettivo alla portata anche grazie all’ottimo lavoro che ha fatto in questi due anni il Ministro Raffaele Fitto.

E qui, consentitemi chiaramente un inciso: ieri Raffaele Fitto è stato indicato come uno dei prossimi Vice Presidenti esecutivi della nuova Commissione europea, con un portafogli che, tra Fondi di coesione e PNRR, che, come sapete, è una delega in cooperazione con il Commissario Dombrovskis, cuba oltre mille miliardi di euro, e con il coordinamento di Commissari che hanno deleghe strategiche per la nostra Nazione, dall’agricoltura fino all’economia del mare, dal turismo fino ai trasporti. Penso che offra la dimensione del peso dell’Italia in Europa, ma penso che sia anche un riconoscimento del lavoro che l’Italia ha fatto in questi due anni proprio su Fondi di coesione e PNRR, perché obiettivamente ci sono state diverse Nazioni che hanno guardato a noi con interesse, con curiosità, e che si sono interessate a come stavamo lavorando.

Penso che, al netto di questo, quello di Raffaele Fitto, Vice Presidente esecutivo della Commissione europea, sia un risultato che ci deve inorgoglire tutti, sia un risultato da portare a casa con il contributo di tutti, perché Raffaele Fitto, non è Commissario di Governo ma è “Commissario italiano”, e l’Italia deve fare quel che può per aiutarlo a ricoprire un incarico così importante.

Penso che però questo riconoscimento sia figlio anche di un’Italia che è finalmente consapevole della sua forza, che si dimostra seria, affidabile, credibile e pragmatica, senza rinunciare a dire quello che pensa per il bene dell’Europa. (…)

Eccolo il ruolo dell’Italia, la sua strategia: qual è il suo posto nel mondo. Questo è un pezzo del suo posto nel mondo, così come un’altra parte del suo posto nel mondo è ricordare che noi non siamo nati per competere sulla quantità dei prodotti, ma sappiamo che pochi possono competere con noi sulla qualità del prodotto.

E allora dobbiamo investire e valorizzare molto di più il nostro Made in Italy, il marchio che tutto il mondo ci invidia, che tutto il mondo ricerca; un marchio che conquista sempre nuovi mercati e che, come ricordava il Presidente Orsini, ha portato l’Italia nel primo semestre del 2024 al quarto posto nella classifica mondiale dell’export, superando prima la Corea del Sud e poi il Giappone. Solo dieci anni fa eravamo al settimo posto. Ed io penso che il Made in Italy sia un fattore di forza, ancora più sottoutilizzato, perché nel mondo c’è un’enorme domanda di Italia e di domanda dei nostri prodotti e delle nostre imprese. Mi chiedono spesso perché io vado così tanto all’estero, perché dedichi così tanta parte della mia energia alla politica estera. Banalmente perché non è politica estera, è politica interna. Nel senso che ogni rapporto solido che si crea è una porta aperta per le nostre imprese, per i nostri prodotti, è un’occasione per i nostri lavoratori. Ecco perché io faccio del mio meglio per aprire quelle porte, perché so che una volta che è stata aperta il resto del lavoro lo farete voi. E pare che stia funzionando, se guardiamo ai dati dell’esportazione, molto importante!

E quindi torniamo al punto che è la capacità delle nostre imprese, la nostra manifattura dei nostri lavoratori. Certo, le sfide si moltiplicano, ogni nuova sfida pone problemi nuovi alle imprese e le scelte politiche fanno la differenza.

Penso – sono d’accordo anche qui con il Presidente Orsini, è stato molto chiaro su questo e lo ringrazio per essere stato molto chiaro su questo – agli effetti disastrosi che sono stati il frutto di un approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo del Green Deal europeo.

Diceva il Presidente Orsini che la decarbonizzazione inseguita al prezzo della deindustrializzazione è una debacle. È così, ovviamente. Perché accompagnare il nostro tessuto produttivo nella sfida della transizione ecologica non può voler dire distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza, che producono occupazione. Anche qui l’esempio che veniva citato, l’addio al motore endotermico entro il 2035, cioè in poco più di un decennio, è uno degli esempi più evidenti di questo approccio autodistruttivo.

Si è scelta la conversione forzata a una tecnologia – l’elettrico – di cui però non deteniamo le materie prime, non controlliamo le catene del valore, con una domanda relativamente bassa, con un prezzo proibitivo per i più e con una capacità produttiva europea insufficiente. Lo vogliamo dire che è non intelligentissima come strategia? Penso che lo dobbiamo dire e penso che, chi ha il coraggio di dire queste cose, non le dice perché è nemico dell’Europa, le dice perché è amico dell’Europa, perché noi vogliamo difendere la capacità industriale europea. E quindi le persone che sono amiche dell’Europa devono avere il coraggio di dire quando le cose non stanno funzionando.

E quindi lo dico anche per prendermi l’impegno a continuare a lavorare con determinazione – Presidente Orsini –, per correggere queste scelte. Perché, banalmente, in un deserto non c’è niente di verde e quindi noi non possiamo, rincorrendo il verde, rischiare di lasciare un deserto. Allora, ridurre le emissioni inquinanti è ovviamente la strada che noi vogliamo seguire, lo vogliamo fare però con buon senso, con concretezza, sfruttando tutte le tecnologie disponibili, senza andare a scapito della sostenibilità economica e sociale, difendendo e valorizzando le produzioni europee e salvando decine di migliaia di posti di lavoro. (…)




Dobbiamo parlarci. Dobbiamo capire come possiamo prevenire, affrontare, risolvere, come possiamo individuare settori sui quali puntare, come possiamo accompagnare eventuali trasformazioni che sono necessarie.

Su questo serve una visione chiara non solo in Italia, in Europa, serve nell’Occidente. È una riflessione che il Governo non può fare senza di voi e quindi è per questo che pongo anche queste riflessioni di scenario, credo che sia mio compito farlo.

Dopodiché, come correttamente ha sottolineato Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea, gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Europa devono essere accompagnati da investimenti e risorse adeguati, da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti è inevitabile che la transizione energetica e ambientale vadano a scapito della competitività e della crescita.

Anche questa è una cosa che mi sono permessa di far notare varie volte in Consiglio europeo e, cioè, che non ha molto senso dotarsi di alcune strategie e poi non creare gli strumenti per realizzare quelle strategie, perché senza gli strumenti banalmente le cose alla fine non si riescono a fare.

Io, per quello che riguarda la transizione green, sono convinta da sempre che debba essere fondata sul principio di neutralità tecnologica. Quante battaglie abbiamo combattuto negli ultimi due anni, anche con Confindustria. Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie che ci permettono di trasformare l’economia da lineare a circolare e tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione: le tecnologie già in uso, quelle che stiamo sperimentando, quelle che dobbiamo ancora scoprire, quindi certo le rinnovabili, ma anche il gas, i biocarburanti, l’idrogeno, la cattura dell’anidride carbonica, senza dimenticare il nucleare che il Presidente citava e, segnatamente, la grande prospettiva che arriva dalla possibilità di produrre, in un futuro che non è così lontano, un’energia pulita e illimitata dal nucleare da fusione. Del resto, siamo la patria di Enrico Fermi, ma se non lo facciamo noi, chi lo deve fare? (…)

L’intelligenza artificiale, Presidente Orsini, è un altro grande tema che dobbiamo porci. Non l’avevo previsto nella mia relazione, poi ho sentito la sua e volentieri condivido qualche parola. Ho sentito che c’è un dibattito etico sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale che rischia di frenare. Non credo che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si possa frenare, si debba frenare, credo che però faremmo un errore enorme se non lo governassimo. Perché l’impressione che ho io a volte è che, con l’avvento velocissimo delle nuove tecnologie, noi prendiamo subito il vantaggio e non siamo in tempo a valutare i rischi. È come se, piano piano, stessimo barattando la nostra libertà con la nostra comodità. Allora, per impedire che questo accada, cioè per mettere insieme il vantaggio che una tecnologia straordinaria porta con sé e il governo dei rischi che può comportare, serve la politica.

Quali sono questi rischi? Molti. Per esempio, il divario competitivo che una tecnologia così forte può creare nello scenario geopolitico: le crisi; per esempio, nel rapporto con la democrazia: quanto è solida una democrazia nella quale non si distingue più cosa sia vero da cosa non lo è? Per esempio, nell’impatto che può avere nel mercato del lavoro, perché molte persone rischiano di non essere più necessari: rischiamo di avere una ricchezza che si verticalizza ancora di più e dovremmo porci il problema del welfare che questo accompagna. E questo è il tema che noi non dobbiamo fare l’errore di lasciare indietro.

E penso, guardi, che qui ci sia un errore di fondo. Noi la chiamiamo intelligenza, ma non è intelligenza. Intelligente non è chi dà le risposte, è intelligente chi fa le domande. Quelle macchine le domande non le sanno fare. È un moltiplicatore, è un moltiplicatore straordinario. Che cosa vogliamo moltiplicare? È questo che ci dobbiamo chiedere.

E serve un dibattito per questo perché, se noi lasciamo correre e non governiamo, potremmo accorgerci troppo tardi quali sono stati gli impatti che ha avuto sulla centralità dell’essere umano, sulla centralità del lavoratore, sulla diffusione della ricchezza, sull’ordine mondiale, ecc..

Io sono fiera di aver portato questo dibattito all’interno del G7 e di aver ottenuto cosa? Qual è stato uno dei grandi outcomes, si direbbe in gergo, del lavoro che ha fatto la Presidenza italiana? Di immaginare, diciamo, delle regole di funzionamento alle quali le aziende aderiscono volontariamente, ma consentire al consumatore di riconoscere, quando usa l’intelligenza artificiale, a chi si sta rivolgendo. Anche perché, come Occidente, noi siamo convinti di avere una tecnologia molto più avanzata di quella degli altri, ma non sottovalutiamo la quantità di dati che gli altri hanno da processare, perché dove non c’è la democrazia ci sono molti più dati da processare di dove – ringraziando Dio – le democrazie esistono. Anche a questo dobbiamo fare attenzione. (…) Avrete, come chiedeva il Presidente Orsini, un confronto leale, avrete regole certe. Su questo dal Governo avete la massima garanzia. Non andremo sempre d’accordo, è naturale, però io so che c’è un punto su cui la penseremo sempre nello stesso modo e, cioè, che l’Italia può ancora stupire, può ancora dimostrare al mondo quanto vale, può ancora lasciare tutti a bocca aperta.

Per troppi anni noi ci siamo accontentati di rincorrere gli altri. È arrivato il momento che ci facciamo rincorrere noi e lo possiamo fare. Lo possiamo fare soprattutto se ci lavoriamo insieme, se ci rimbocchiamo le maniche insieme, se crediamo un po’ più a noi stessi, se riusciamo a valorizzare un po’ di più le cose belle che accadono in questa Nazione, invece di valorizzare sempre e solo quello che va male. Perché alla fine, se non ci crediamo noi, non possiamo convincere neanche gli altri.

Io credo e vedo un’Italia amata, stimata, ricercata nel mondo. So che quell’Italia stimata, amata e ricercata nel mondo ce l’ho dietro alle spalle. Sono pronta ad aprire tutte le porte che è necessario aprire, ma poi ci dobbiamo credere insieme e dobbiamo camminare mano nella mano.

Grazie a tutti, buona giornata

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