Perché il governo fa molto male a sottovalutare i numeri sulla produzione industriale

La prudenza nella politica di bilancio è apprezzabile, ma solo con il sostegno del Pnrr e politiche monetarie espansive si riuscirà a dare una nuova spinta capace di far ripartire l’industria italiana, su cui la spirale di crescita sembra essersi messa in pausa

Tutti si attendono che oggi la Bce riduca di un altro quarto di punto i tassi di riferimento, un secondo passo che in questo capo anticipa il taglio che la Federal Reserve dovrebbe compiere martedì prossimo. Le due maggiori banche centrali, in tal caso, darebbero il là a una vera svolta nella politica monetaria allentando la stretta che è servita a riportare in basso l’inflazione. Una spuntatina ogni tanto, però, non è sufficiente, occorre che venga indicato, in modo chiaro nei tempi e nei modi, un percorso che porti il costo del denaro in linea con l’aumento dei prezzi avviato verso l’obiettivo del 2%. Per l’Italia è forse ancor più importante che per altri paesi, a causa del peso del debito il cui costo si avvia verso i 90 miliardi l’anno. Ma non solo. Finita la pandemia, l’economia italiana ha corso a più non posso, forse ai limiti delle sue capacità produttive. Spinta dalla manifattura, dai sostegni pubblici agli investimenti e al reddito delle famiglie (incentivi più bonus), dalle esportazioni. Si sostiene (chissà se su input ministeriale) che un grande aiuto è arrivato dal turismo il quale, però, non ha ancora raggiunto il livello del 2019, mentre nel suo insieme il prodotto lordo lo ha ormai superato. Adesso sembra che la congiuntura si stia prendendo una pausa. Con la manifattura che, come se fosse esausta, sta sempre più rapidamente declinando. Lo dimostrano i dati diffusi lunedì dall’Istat sulla produzione industriale a luglio e nei primi sette mesi dell’anno.



L’indice destagionalizzato è diminuito dello 0,9% rispetto a giugno. In ragione annua il calo è del 3,3%, se prendiamo il periodo gennaio-luglio di quest’anno rispetto agli stessi mesi del 2023 vediamo un meno 3,2%. Il dato più preoccupante, spiega l’Istat, è che la discesa riguarda tutti i principali comparti esclusa l’energia. Colpa dell’automobile colpita da una crisi in tutta Europa? Colpa della Germania che ha fatto segnare meno 2,4% come dato mensile e meno 5,3% rispetto all’anno precedente? Certo, ma non solo. In Italia il tessile sta andando addirittura peggio: -6,3% mensile e -18,3% annuale mentre la costruzione di mezzi di trasporto mostra rispettivamente -3% e -11%. Incidono senza dubbio le esportazioni (quindi la crisi della Germania principale mercato di sbocco dei prodotti italiani), però un segnale molto negativo viene anche dalla domanda interna per consumi.



La produzione industriale fa sempre da battistrada, in genere c’è un divario di circa un trimestre prima di poterne calcolare gli effetti sull’insieme del prodotto lordo. Vedremo se il settore dei servizi potrà bilanciare, ma sarà difficile se il calo della manifattura prosegue a questo ritmo. Dunque, è molto più probabile che la crescita quest’anno sia più vicina allo 0,6% previsto dalla Banca d’Italia che all’un per cento su cui punta il governo. Le previsioni potrebbero incontrarsi a metà, diciamo allo 0,8% che sembra trovare un ampio consenso tra gli analisti dopo aver corretto per le giornate effettivamente lavorate. Ma con un più 0,8% il debito pubblico salirebbe di quattro punti percentuali: affinché si arrivi a quella stabilizzazione che è obiettivo del governo e del processo di aggiustamento da negoziare con la commissione europea, il pil dovrebbe superare almeno un punto percentuale con una inflazione vicina ai due punti. La prudenza nella politica di bilancio è apprezzabile, ma non basta, ci vuole una nuova spinta. Le risorse del bilancio pubblico allargato (cioè del Tesoro, delle regioni, dei comuni, delle aziende a partecipazione statale che hanno dato molto nel 2023) scarseggiano, sarà già un successo se il governo riuscirà a confermare i benefici dello scorso anno. Una riduzione nel costo del denaro è una boccata d’ossigeno, tuttavia per far ripartire la il ciclo congiunturale l’unico sostegno può venire dal Pnrr. Solo che non sappiamo ancora come stanno davvero le cose. Il passaggio di Raffaele Fitto a Bruxelles complica la situazione, non è chiaro chi prenderà il suo posto e le sue competenze, a quel che si capisce non lo sa nemmeno il governo.

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