La famiglia è democrazia

Per la filosofa Delsol, anche nella società che cambia e in cui la donna si è emancipata la coppia padre-madre è ancora il modo migliore per educare i figli alla libertà

“Non è la composizione della famiglia o, se preferiamo, il tipo di famiglia, che può essere messa in discussione oggi” scrive sul Journal du dimanche la filosofa Chantal Delsol, fondatrice del Centro Arendt di Parigi e membro dell’Accademia di scienze morali e politiche, la famosa “cupola” della cultura francese, autrice in Italia de “La fine della cristianità” (Cantagalli). “A meno che non si voglia tornare a una sorta di Ancien Régime e mettere in discussione la libertà di divorzio… Chi vuole contestare il fatto che oggi le donne possano studiare, avere una professione e un conto corrente personale? Tuttavia, dopo il matrimonio per tutti del 2013 – che ha provocato un sussulto tra gli intellettuali conservatori – la destra non ha elaborato nessuna politica familiare. Qualsiasi proposta si limita ad adeguare marginalmente la tassazione delle famiglie, piuttosto che pensare alla loro evoluzione. Fatta questa constatazione, la prima cosa evidente è la seguente: il crollo della famiglia è dovuto anzitutto all’emancipazione della donna. Dobbiamo quindi cercare di capire come la famiglia possa sopravvivere in questa nuova situazione, stabilendo delle vere e proprie diagnosi. Si parla della nascita di una società individualista, che porterebbe all’estinzione della famiglia. Tuttavia, quello che è successo è un po’ diverso. L’individualismo è sempre esistito, ma era una cosa maschile: le donne da sole, o quasi, gestivano le famiglie e si occupavano dei bambini e degli anziani. La vera novità di oggi non è la comparsa dell’individualismo, ma la sua estensione alle donne. È come se si dicessero: essere egoisti come un uomo deve essere bello, perché noi non possiamo? L’individualismo non è solo apparso, è stato in un certo senso reso democratico per l’intera popolazione. È un dato di fatto di cui dobbiamo tenere conto e su cui non possiamo tornare indietro: dobbiamo conviverci.

Vorrei fare tre considerazioni diverse. In primo luogo, c’è bisogno di coerenza. L’emancipazione della donna e la sua individualizzazione tendono a far emergere famiglie monoparentali in cui è generalmente la donna a occuparsi dei figli – e quindi l’emergere di famiglie senza padre. Ci viene ripetuto da trent’anni che molte culture fanno a meno dei padri – citiamo l’esempio dei Naxi cinesi (gruppi etnici che vivono senza l’istituzione del matrimonio e in cui il ruolo del padre è inesistente), e potremmo aggiungere culture con padri sconosciuti (in alcune regioni dell’Africa) e culture poligame (paesi musulmani). Si vuole in questo modo affermare che i bambini possano fare a meno di un padre. È evidente, in tutti questi casi, che la madre è sufficiente a fornire la tenerezza e le cure di cui il bambino ha più bisogno. Eppure è la coppia padre-madre che permette di educare i bambini alla libertà, ed è nelle società occidentali monogame che è nata la libertà politica. Per diventare cittadini, i bambini devono essere educati a riconoscere i limiti della loro libertà e a comportarsi in modo responsabile, poiché lo stato democratico non è concepito per punirli. È una grande sfida. In tutte le culture senza padre, e senza eccezioni, si ha un governo autoritario. È molto difficile per un genitore single, spesso la madre, dare tenerezza e trasmettere libertà allo stesso tempo. Queste due esigenze opposte devono essere soddisfatte da due persone. Lo dirò in modo lapidario: se non ci sono padri in casa, dovremo mettere la polizia nelle scuole.

La mia seconda osservazione fa seguito alla prima. Se accettiamo il nuovo ordine delle cose, secondo cui le donne sono istruite ed emancipate (hanno risorse proprie: questo è l’aspetto principale), e se vogliamo un padre in casa, allora il padre deve accettare di condividere i lavori domestici e la cura dei figli. La stragrande maggioranza dei divorzi viene dalle donne: perché è la moglie che deve occuparsi della famiglia, mentre il marito si occupa di sé stesso. È una metamorfosi sociale di cui non abbiamo ancora finito di misurare le conseguenze. Crescere i figli richiede di dimenticare in parte noi stessi: se questa dimenticanza viene lasciata, come in passato, alle sole donne, allora dovremo dire addio alla paternità e, poco dopo, alla democrazia. Per dirla in altre parole: se gli uomini non capiscono che devono condividere i sacrifici, allora l’emancipazione delle donne porterà, a sua volta, alla distruzione della famiglia. Ma questo non accadrà. Quando ci si trova in un momento di rottura storica, quando tutto sembra ribaltarsi e crollare, non si tratta di aggrapparsi alle forme, che comunque scompariranno. Dobbiamo identificare le fondamenta e metterle in risalto. Se un fiore appassisce, bisogna scoprire la radice e curarla, perché arriveranno altri fiori, diversi ma altrettanto vitali. Credo che ci sia qualcosa di “naturale” nella famiglia e nell’educazione dei figli. So quanto sia tabù oggi usare la parola “naturale”. Eppure lo è. Potremmo parlare di “condizione umana” se non volessimo spaventare il lettore: significa che noi esseri umani siamo dotati di caratteristiche che non possiamo eliminare. Siamo mortali e aspiriamo all’immortalità, abbiamo bisogno di amore e riconoscimento perché siamo definitivamente incompleti. Ecco perché tutti i gruppi umani, senza eccezioni, hanno modi di essere o istituzioni con le stesse caratteristiche. Come diceva Giambattista Vico: gli esseri umani inventano religioni o saggezze, si “sposano” (in qualsiasi forma) e ritualizzano i funerali.

Nessuna moda, nessuna rottura con il passato impedirà agli esseri umani di reinventare costantemente la coppia eterosessuale in attesa di avere figli. Questo non impedisce alle coppie omosessuali di stipulare contratti, né a persone stravaganti di rivendicare la filiazione con il proprio cane o con il proprio oggetto preferito.

L’epoca attuale, in totale rottura con il passato, immagina di poter reinventare tutto e tende a gettare i bambini con l’acqua sporca. La metamorfosi dei costumi è stata così rapida che, desiderosi di rompere con l’epoca precedente, non sappiamo più chi siamo.

Eppure ci sono delle costanti, come il “matrimonio” nel vero senso della parola. L’abolizione di questa struttura fondamentale significherebbe l’abolizione delle nostre stesse società e la loro sostituzione con altre che non hanno ceduto al fascino dell’“ultimo uomo”. Il ruolo della politica oggi è quello di riaffermare la permanenza di ogni condizione umana. La civiltà e la sopravvivenza della democrazia dipendono da questo.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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