Come la scherma e la fede hanno ridato una vita ad Amelio Castro

L’atleta colombiano fa parte della squadra dei rifugiati a queste Paralimpiadi. Vive e si allena in Italia e punta a una medaglia

Il libro della vita di Amelio Castro Grueso, schermidore paralimpico, è ancora tutto da scrivere. Non è un modo di dire visto che l’atleta, colombiano, ma rifugiato in Italia, ha iniziato il suo percorso sportivo proprio per riempire quelle pagine con la sua storia.Una storia iniziata nel 1992 quando nacque e continuata con tante sofferenze: prima la perdita della madre a soli 16 anni, poi un grave incidente che lo priva dell’uso delle gambe e lo relega sulla sedia a rotelle. I fratelli non riescono ad aiutarlo economicamente, passa quattro anni infernali in ospedale, finché a causa di quelli che lui definisce “maltrattamenti”, senza mai specificarne l’entità, fugge dalla sua terra e arriva in Italia.

Amelio, che pratica sport dal 2017, fa parte del team paralimpico dei rifugiati e sarà in gara alla sua prima edizione delle Paralimpiadi dal 3 al 7 settembre (gareggia nella spada, categoria B). Per ultimare la sua storia c’è un capitolo fondamentale che spera di scrivere prossimamente. “Non ho una data, per il mio libro – ammette nel corso di un training camp dedicato agli atleti rifugiati – Dipenderà molto dalla possibilità di vincere o meno una medaglia d’oro”.

Nei mesi scorsi il Comitato paralimpico internazionale (Cpi) ha reso noto che gli sportivi della Squadra paralimpica rifugiati sarebbero stati otto con corridore guida: la più numerosa di sempre. Gli atleti, (il cui status è riconosciuto da Unhcr) che rappresentano gli oltre 120 milioni di persone in fuga nel mondo, provengono da sei diversi paesi e gareggeranno in sei sport: atletica paralimpica, sollevamento pesi paralimpico, tennis da tavolo paralimpico, taekwondo paralimpico, triathlon paralimpico e scherma in carrozzina. È la prima volta dalla creazione della squadra paralimpica di rifugiati che è stato incluso e selezionato un atleta residente in Italia, Amelio.

Castro dal 2022 vive e si allena a Roma e in questi anni ha trovato spesso un’ancora di salvezza nella fede: “Ho sempre creduto in Dio e la fede, in questi anni, mi ha dato la forza di andare avanti nonostante tutto quello che mi è accaduto, non mi ha mai lasciato solo”. La religione è stata un appiglio e forse, stando al suo forte credo, gli ha mandato un angelo custode, il “Profe”, come lo chiama, ovvero Daniele Pantoni. I due si conoscono durante una tappa di Coppa del mondo, nel 2018, a Calì: nasce un rapporto che va oltre delle semplici stoccate. L’allenatore fa di tutto per portare Castro nel nostro paese, ma l’organizzazione salta a causa della pandemia. Il paraschermidore, comunque, non si dà per vinto e prende in mano la situazione arrivando in Italia nel 2022, senza che il coach sapesse nulla. Nel 2023 chiede e ottiene la protezione internazionale prima e lo status di rifugiato. Per un anno alloggia alla Caritas, mentre attualmente vive al centro del Sistema accoglienza e integrazione di secondo livello a Centocelle, a Roma. “L’Italia è un paese che mi ha accolto benissimo – spiega – sono sempre stati tutti gentili. Si respira un’aria solare e il clima è mite. Devo ringraziare in particolar modo la Polizia e le Fiamme oro che mi hanno accolto”.

Castro si è trovato catapultato in un contesto in cui la scherma è una delle discipline che regala da sempre, non solo a livello olimpico, ma anche paralimpico, grosse soddisfazioni. Il colombiano ha potuto “toccare e prendere in mano l’oro delle ragazze della spada, qualcosa di unico”. Spesso infatti è capitato di allenarsi, al circolo sportivo delle Fiamme oro con alcune delle azzurre come Alberta Santuccio o Rossella Fiamingo. “Io sono architetto della scherma, la costruisco ogni giorno e così ottengo buoni risultati, come successo al Campionato italiano. Mi focalizzo sugli impegni del futuro, mi manca ancora esperienza e allenarmi a Roma mi aiuta”. Amelio arriva a Parigi dopo aver conquistato, a maggio, il titolo assoluto nella gara di spada ai Tricolori di San Lazzaro di Savena: “Quella medaglia mi ha ripagato di tutti gli sforzi e i sacrifici che ho fatto – ammette – ora cercherò di impegnarmi al massimo per portare a casa altri successi”.

Salire sul podio e mettersi al collo una medaglia di un colore importante sarebbe il finale perfetto: la scherma non è una semplice disciplina, ma un qualcosa che gli ha offerto una seconda chance quando tutto sembrava perso. “Lo sport mi ha dato una grossa mano, è qualcosa di unico. Mi ha permesso di trovare un equilibrio di vita, nonostante i miei problemi in quanto rifugiato e in quanto persona in sedie a rotelle”.

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