Con Zaho de Sagazan nasce una stella. Il pop francese ne aveva bisogno

Approccio iper romantico e architetture elettroniche adagiate sulle movenze di chi proviene dalla danza: lo stile unico della cantante fa risaltare il suo talento, incoronandola come prossima stella dell’elettronica internazionale

Per distrarci dalla noia dei tormentoni estivi andiamo a cercare qualcosa di musicalmente nuovo. Non lontano, in Francia. I più attenti già l’avranno notata. Era l’11 agosto, sera della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi parigine e, fasciata in un meraviglioso abito Vuitton, una diafana ragazza bionda, accompagnata dal coro dell’Accademia Haendel-Hendrix, intonava nei giardini delle Tuileries “Sous le Ciel de Paris”, il celebre motivo che Édith Piaf cantò nel 1951 per l’omonimo film di Julien Duvivier. Senza temere l’ardito confronto. La fanciulla colpiva l’occhio con la sua presenza teatrale e stuzzicava l’orecchio con una vocalità strabordante. Il suo nome è Zaho Mélusine Le Moniès de Sagazan, in arte semplicemente Zaho de Sagazan, e oltralpe è considerata la più luminosa promessa d’una canzone francese in cerca di protagonisti. In effetti ha tutte le carte in regola per raccogliere la sfida e non possiamo che invitarvi ad ascoltarla, per verificare lo spessore di queste ambizioni.

Zaho è nata negli ultimi giorni del ’99 a Saint-Nazaire, una di cinque figlie del pittore-scultore Olivier de Sagazan, artista riconosciuto per il suo lavoro sulla follia e sulla violenza, e di Gaëlle Le Rouge de Rusunan, un’insegnante per ragazzi problematici. Il suo avvicinamento alla musica transita per la danza, affrontata con una caparbietà al limite dell’ossessione e poi abbandonata attorno ai vent’anni in favore del canto e del nascente amore per la musica elettronica dei grandi gruppi tedeschi anni Settanta e per le migliori ugole della tradizione transalpina, Aznavour, Brel, Barbara. Per dar forma alla propria vocazione Zaho stringe un sodalizio con i musicisti del gruppo Inuit, in particolare con il multistrumentista Tom Geffray, che oggi l’accompagna dal vivo, e comincia a farsi notare nel circuito di Nantes, città dove nel frattempo s’è trasferita, e nel cartellone di numerosi festival in giro per il suo paese. Del resto è difficile restare indifferenti ai live set di Zaho de Sagazan, con quella potente combinazione di qualità vocale e movenze intensamente descrittive, derivate dalla sua passione per il ballo, a dispetto di una fisicità importante, magnificamente padroneggiata.



La consacrazione di Zaho arriva a inizio 2024 con l’uscita, su un’etichetta importante come la Virgin Records, di “La Symphonie des éclairs”, sulla cui copertina campeggia un’illustrazione fumettistica che la ritrae alle prese con un enorme sintetizzatore analogico e che già dai primi solchi espone il progetto di Zaho: un canto importante, deciso, sfrontato e iper romantico e dalla dizione perfetta, nella tradizione delle grandi chanteuse, abbinato a complesse architetture elettroniche strutturate in diversi movimenti (non a caso, uno dei primi a notarla, invitandola ad aprire i suoi concerti, è stato Stromae, che per molti versi si muove nei medesimi territori espressivi). L’album vende su cifre insolite per questi tempi e colleziona premi e riconoscimenti da parte di una critica francese ansiosa di trovare nuove personalità da sostenere.



Il passo successivo coincide addirittura con la serata inaugurale del Festival di Cannes dove, davanti a una platea di star e alle telecamere internazionali, Zaho presenta una straordinaria versione di “Modern Love” di David Bowie, dedicandola alla presidente della giuria Greta Gerwig e danzando scalza nei corridoi e sulla ribalta del Gran Palais. Un trionfo. A questo punto, il più è fatto: Zaho è lanciata sulla scena planetaria, il suo disco non fa altro che conquistarle nuovi fans a ogni ascolto e il suo vibrante personaggio fin dalle prime interviste si rivela tutt’altro che banale. Emerge che Zaho è affetta da iperacusia, una particolare condizione caratterizzata da un’estrema avversione e ipersensibilità ai suoni. E poi che non ha ancora vinto il suo vecchio conflitto con la propria esteriorità e con un corpo che ha odiato a lungo. E, ancora, che si sente letteralmente pervasa dal sentimentalismo glorioso che trasuda dai testi delle sue canzoni, come quando in “Suffisamment” intona “Ti amo appassionatamente / mi ami abbastanza… perché io resto?”.



La conclusione è che per la musica francese è nata una vera stella che presto impareremo ad ammirare anche da qui. La coerenza qualitativa che traspare nella produzione di Zaho e nel modo in cui coglie le occasioni trasformandole in capolavori performativi fa pensare che quella su di lei sia una scommessa sicura, per lo spessore e il valore del personaggio. Un esempio da osservare e parametrare, per fare qualche valutazione su fenomeni paralleli che provano a farsi notare dalle nostre parti: salire a un livello come quello di Zaho è il risultato di uno sforzo, di idee e di un’ispirazione, in assenza delle quali si dovrebbe essere prudenti a invocare attenzione e a rappresentarsi artisticamente. Ad esempio, sui calendari Pirelli.

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