In cerca di Radclyffe Hall (che funziona anche per vendere pantaloni di buon taglio)

Appurato che scrittori e scrittrici non sempre rifuggono la moda, possono competere in iconicità e ispirare collezioni o servizi, anche gli autori contemporanei possono ambire al ruolo di trendsetter e indossare un stile studiato senza il timore di sminuire la propria arte

Quando, alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso, Roland Barthes dette inizio alla riflessione semiotica sulla moda, lo fece analizzando essenzialmente le didascalie delle riviste: la sua opera è ancora alla base degli studi accademici sul settore, e questo mette subito in chiaro come in fondo siamo in gran parte vittime dell’idea che la parola scritta sia superiore a qualsiasi altra espressione della creatività e dell’intelletto umani, tanto più con l’incombente stigma di frivolezza riservato ad abiti e affini. Solo pregiudizio culturale? Forse, o piuttosto indice di un rapporto complesso, ma continuativo, tra gli armadi e la letteratura.

Pensare a una relazione di mutuo scambio può addirittura sembrare sacrilego, almeno stando alle polemiche a margine degli abiti offerti da alcuni brand ai finalisti dell’ultimo Premio Strega: indossare un abito griffato non deve essere un obbligo, ma neppure deve esserlo presentarsi in giacca stazzonata per ribadire uno status intellettuale. Molti scrittrici e scrittori del passato, al contrario, sono stati innegabilmente stylish, elegantissimi o eccentrici, dentro le proprie pagine o attraverso la loro vita. La moda descritta nei grandi romanzi ottocenteschi delineava la psicologia di Madame Bovary, Anna Karenina, Dorian Gray e la loro epoca, e anche quando la diffusione della fotografia ha tolto fascino alle lunghe descrizioni delle toilettes, la moda ha continuato a essere indagata dallo spirito di penne sottilmente pungenti come quelle di Alberto Arbasino e Truman Capote. Una fascinazione che dagli anni Ottanta in poi è mutata in riferimenti precisi e didascalie da addetti ai lavori con elenchi di marchi da fare invidia a un episodio di “Sex & the City”. Basti pensare al Victor Ward di Brett Easton Ellis ne “Le regole dell’attrazione” e in “Glamorama”, compendio di cultura pop e critica sociale ad ampio raggio.Il riferimento letterario per i creatori è invece una risorsa – lo storytelling delle collezioni si nutre anche troppo spesso di ispirazioni che evocano nostalgia e vari tipi di “madeleines” – ed è duplice, riscontrabile tanto attraverso i protagonisti dei romanzi quanto derivata dall’immagine degli scrittori stessi.

Erdem, per esempio, nella presentazione della Resort 2025 (foto a lato) ha fatto esplicito riferimento a Radclyffe Hall, scrittrice inglese in abiti maschili e protagonista della cultura lesbica degli anni Venti e Trenta, a lungo censurata, che lo ha ispirato nella concezione dei completi pantalone formali e rigorosi. Fino a oggi Erdem Moralioglu si era dedicato a floreali delicati e a tessuti preziosi, che peraltro non ha abbandonato: ma se d’ora in poi i blazer doppiopetto e le fantasie Principe di Galles troveranno un posto stabile nelle sue collezioni, sarà merito anche dell’incontro con questa brillante sovversiva, avvenuto alla London Library.

Scrittrici e scrittori sono creatori di mondi, e perciò ontologicamente predisposti all’espressione di sé attraverso l’immagine, tanto quanto le loro creature letterarie: Virginia Woolf e Orlando, D’Annunzio e Andrea Sperelli, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il principe di Salina, Capote e Holly Golightly, Edgar Allan Poe sempre di nero vestito come i protagonisti dei suoi racconti, e chi mai più radical chic, con il giusto tocco di individualismo eccentrico di Tom Wolfe, in completo bianco e scarpe bicolore?

È un elenco pressoché infinito, che dovrebbe rassicurare gli autori contemporanei sull’indulgere alla moda e che comprende George Sand e Colette, altre antesignane dei completi maschili, l’eleganza di Dorothy Parker, il glamour di coppia di Francis Scott Fitzgerald e Zelda Sayre, le pellicce e i gioielli di Edith Wharton e infine Jacqueline Susann, la meno dotata nella scrittura (“La valle delle bambole” fu un best seller di scrittura piuttosto grossolana) ma che ha elevato a vero e proprio storytelling i suoi outfit Pucci.

Appurato che scrittori e scrittrici non sempre rifuggono la moda, possono competere in iconicità e ispirare collezioni o servizi, anche gli autori contemporanei possono ambire al ruolo di trendsetter e indossare un stile studiato senza il timore di sminuire la propria arte.

Lo ha dimostrato Jonathan Bazzi (molto citato in questo numero del “Foglio della Moda”, in effetti) in paillettes nere Valentino all’edizione 2020 del Premio Strega, e lo dimostrano altrettanto bene Donna Tartt, perennemente in giacca nera e camicia bianca (alla quale si può rimproverare semmai non tanto l’attenzione al look quanto l’attesa ultradecennale di un nuovo romanzo), Zadie Smith in turbante e maxi orecchini a cerchio e Jennifer Egan, elegantemente minimale e quasi clone di una giovane Joan Didion, che da ottantenne si prese la libertà intellettuale di apparire nella campagna di Céline (allora con l’accento).

Quando le strade si incrociano i risultati sono sempre interessanti, lo storytelling della moda è permeabile a tutte le sollecitazioni, e gli scrittori, oltre alla scrittura, possono entrare a pieno titolo e con un po’ di salutare leggerezza in un racconto che non è mai stato estraneo alle allusioni letterarie.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.