Perché ci importa di sapere che cosa sia il mola

È un pannello di tessuto multicolore tipico dei Kuna, un popolo delle isole San Blas, nel Mar dei Caraibi. Ma è anche uno scrigno pieno di storie

Un pallido sole illumina la campagna parmense mentre Nadia, come ogni mattina, prende l’autobus per recarsi in città. Arrivata circa venti anni fa dalla Costa d’Avorio, ha aperto un atelier nell’Oltretorrente, un vivace quartiere di Parma. Elisabetta, nella sua casa affacciata sul fiume Enza, dopo colazione inizia a cucire abiti per una fiera a Lugano: sta creando un mola, un pannello di tessuto multicolore tipico dei Kuna, un popolo delle isole San Blas, nel Mar dei Caraibi. Nel frattempo, seduta sul divano, Pannà ricama con orgoglio un Chaniya Chori cucito da suo marito per la figlia Nishita: la famiglia, originaria del Gujarat, sta organizzando il Navratri, una festa indiana di nove notti che celebra la vittoria del bene sul male con danze e offerte alla Dea Durga. In India, le strade di Valsad si trasformano in un mare di colori e suoni durante il Navratri. In Italia, la celebrazione sarà più contenuta ma altrettanto importante per la comunità indiana della provincia emiliana. Nishita, avvolta nel suo splendido Chaniya Chori, partecipa alle danze Garba, mentre suo padre indossa con orgoglio il kurta, dimostrando come gli abiti tradizionali siano parte integrante di queste celebrazioni.

A migliaia di chilometri di distanza, al largo delle coste di Panama, l’arcipelago di San Blas ospita una popolazione che si nutre di pesca e agricoltura, rinomata per le molas. Questi pannelli di cotone sono realizzati sovrapponendo e cucendo tessuti colorati. Originariamente, i disegni variopinti erano fatti sul corpo, ma furono trasferiti su tessuto quando gli occidentali imposero agli indigeni di vestirsi. Ogni disegno ha un significato preciso nella struttura sociale Kuna. Elisabetta, arrivata in Italia da questo paradiso terrestre con un diploma da fisioterapista, ha ritrovato la propria collocazione in Europa grazie a quest’arte ancestrale. Nell’atelier di Nadia, i colori vivaci dei tessuti wax sorprendono i clienti. Questi tessuti di cotone, stampati con una tecnica complessa e originariamente inventati dagli olandesi per imitare i Batik indonesiani, sono un esempio di come la globalizzazione possa portare alla creazione di qualcosa di nuovo e vibrante. Questi tre esempi dimostrano come la moda sia un linguaggio globale, nato da una moltitudine di fattori ambientali e culturali. La moda si sviluppa, evolve e si adatta, creando diversità. E solo con la diversità esiste lo sviluppo della cultura. Dall’India con i suoi sari riccamente ricamati, all’Africa occidentale con i suoi tessuti wax, fino alle elaborate sete cinesi e agli abiti Baulé della Costa d’Avorio, la moda ha sempre riflettuto la diversità e la creatività delle culture umane. Come disse Tiziano Terzani “la diversità è una risorsa, non un problema”. Questa citazione risuona con particolare forza nel contesto della moda, dove ogni cultura porta con sé una storia unica e un patrimonio di tecniche artigianali. La moda non è solo abbigliamento; è un linguaggio visivo che racconta le storie delle persone, delle comunità e delle loro tradizioni, e nella moda la bellezza della diversità risiede nella capacità di raccontare storie uniche attraverso tessuti, colori e disegni.

Ogni pezzo di abbigliamento tradizionale è una testimonianza della creatività e dell’ingegno umano. Esplorare e comprendere le caratteristiche e gli elementi di culture diverse, un tempo distanti, offre non solo un arricchimento culturale, ma anche una vera apertura mentale. Preservare questa diversità significa anche valorizzare il lavoro degli artigiani e sostenere le economie locali. Le tecniche tradizionali di produzione tessile sono spesso ecologiche e sostenibili, offrendo un’alternativa alla produzione di massa che sovraccarica il nostro pianeta. La perdita della diversità nella moda mondiale è una questione complessa che riflette le dinamiche più ampie della globalizzazione. Tuttavia, attraverso una maggiore consapevolezza e un impegno per la sostenibilità culturale ed economica, è possibile invertire questa tendenza. Celebrando le tradizioni locali e promuovendo una moda che rispetta e valorizza le differenze culturali, possiamo preservare la diversità che rende il nostro mondo così straordinariamente variegato e affascinante. In questo modo, la moda può continuare a essere una potente espressione di identità e creatività, riflettendo la bellezza e la complessità delle culture umane.

Arturo Delle Donne è fotografo, regista, laureato in biologia, PhD in ecologia, autore di importanti progetti sul rapporto fra uomo e ambiente (“The familiar unknown”, 2020). Già collaboratore di Wim Wenders nel documentario “Pope Francis. A man of his word” (2018), sta lavorando a un documentario sulle donne di cui scrive in questo breve editoriale. Le riprese inizieranno in autunno.

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