Yellowface

La recensione del libro di Rebecca F. Kuang, edito da Mondadori, 389 pp., 22 euro

“L’industria editoriale sceglie il suo cavallo vincente – qualcuno che sia abbastanza attraente, giovane e fico e… ma sì, dai, visto che lo pensiamo tutti tanto vale dirlo: abbastanza diverso – e ci investe soldi e risorse a volontà. Athena – una bellissima donna bianca, vagamente queer, internazionale quanto basta e laureata a Yale – è stata scelta dai Poteri Forti. Quanto a me, ho capelli e occhi castani, mi chiamo June Hayward e vengo da Philadelphia, e posso anche lavorare sodo o scrivere meravigliosamente bene, ma non sarò mai Athena Liu”. Il punto però, forse, è che June non scrive meravigliosamente bene o, almeno, non quanto scrive Athena. Anzi, scriveva. Sì, perché la giovane sino-americana con una carriera spianata nell’editoria e un contratto con Netflix in mano muore in un incidente bizzarro (strozzata da un pancake) durante una serata di festeggiamenti proprio per il suo nuovo contratto. Con lei c’è solo June che, a quanto pare, è la sua unica amica. Stessi studi, stesse ambizioni, risultati diversi. June ha esordito con il suo primo romanzo senza ottenere grandi riscontri e faticando a metterne in cantiere un secondo. Athena invece ha avuto una strada apparentemente spianata fin dall’inizio: fulgido talento di scrittura e per giunta con la faccia e la storia giusta alle spalle, ha raccolto – nonostante la sua giovane età – solo successi. Sta ora lavorando a un romanzo, un’epopea di guerra, sul contributo e l’esperienza non celebrata del Corpo del lavoro cinese, i 140 mila lavoratori cinesi che furono reclutati dall’esercito britannico e inviati sul fronte alleato durante la Prima guerra mondiale. June, determinata a raggiungere i suoi obiettivi, si appropria del manoscritto facendolo passare come suo. Lima alcuni aspetti, rendendolo più “bianco” e commerciale, e dà lì il successo. Che però cela insidie: da un lato la continua lotta che la scrittrice deve combattere contro le accuse di appropriazione culturale, dall’altra non far trapelare il furto del romanzo.

Yellowface mette a nudo, in modo non poi così sottile, le idiosincrasie del mondo dell’editoria americana e di quei terreni apparentemente d’élite che celano logiche clientelari e meccanismi culturali dalla grana grossa. Lo fa con una scrittura larga, brillante e volutamente leggera. Pop ma con picchi di acume. June è una narratrice inaffidabile, forza le regole del gioco ma ne rimane comunque imbrigliata. Le manca un guizzo, il colpo da fuori classe. Quel quid che forse era proprio di Athena.

Rebecca F. Kuang

Yellowface


Mondadori, 389 pp., 22 euro

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