Una manifestazione unitaria, martedì a Roma, al grido di: “Difendiamo l’unità nazionale”. Ci voleva una rissa tra parlamentari per mettere insieme Pd, M5s, Avs e Più Europa. Campo allargato a suon di sganassoni.
La premessa è nota. Ieri, 12 giugno, mentre alla Camera sarebbero dovuti andare avanti i lavori sull’Autonomia differenziata, il deputato grillino Leonardo Donno ha mostrato agli avversari politici la bandiera tricolore, alludendo al tradimento dell’Unità d’Italia che scaturirebbe dall’approvazione della riforma voluta dalla Lega. Ne è seguita una bagarre (termine che, si sa, va immediatamente seguito dalla locuzione “in Aula”). Nella baruffa Donno è stato colpito, secondo il racconto fatto dallo stesso parlamentare, con un pugno allo sterno. Crollato per terra, è stato poi portato via su una sedia a rotelle.
“Dopo le aggressioni fisiche della maggioranza in Parlamento non possiamo accettare che anche il paese sia ostaggio di questo clima di intimidazioni continue”, dicono Pd, M5s, eccetera. “Non è stata una rissa ma un’aggressione”, dice la segreteria Pd Elly Schlein. S’è appena ricordato Giacomo Matteotti, assassinato cent’anni fa dalle camicie nere: la suggestione è ancora nell’aria.
Menar botte da orbi in Parlamento – è evidente – è inaccettabile. Però alcune reazioni dei rappresentanti del M5s sono al limite dell’operettistico. “Potevano ucciderlo con un pugno un po’ più grosso! È vietato anche nella lotta libera!”, grida dai banchi del M5s la deputata Susanna Cherchi, invasa da un’eccitazione parossistica. E Giuseppe Conte chiede di immaginare cosa sarebbe successo a Donno “se non ci fossero stati i commessi in Aula”.
Ed ecco che da Jackie Chan, la mano che uccide, si passa di colpo al Rigoletto. “Pari siamo: io la lingua, egli ha il pugnale!”.