Storia di come il motore di ricerca di Microsoft si è scrollato di dosso l’aria sfigata e ha fatto breccia in un settore che sembrava blindato da Google. Anche grazie all’iniziativa del suo ceo, Satya Nadella, che nei fatti si è rivelato più cool e trasgressivo di tanti Musk, Bezos e Zuckerberg
Negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere i grandi CEO tecnologici trasformarsi in personaggi da spettacolo. Elon Musk con i suoi tweet ei suoi lanciafiamme sul palco, Jeff Bezos in modalità palestrato, Mark Zuckerberg che si dà al jiu-jitsu brasiliano : siamo nell’era dei CEO miliardari che vogliono apparire cool, e trasgressivi.
Eppure, a ben guardare, la cosa più da gangster che è stata fatta (in questo caso, detta) da un grande capo della Silicon Valley negli ultimi anni non è venuta da loro ma da Satya Nadella , CEO di Microsoft.
Eravamo nel febbraio del 2023, pochi mesi dopo l’uscita di ChatGPT. Nadella è intervistato da Nilay Patel, direttore di The Verge, nel suo podcast “Decoder”, in un momento in cui Microsoft sta spingendo forte sull’intelligenza artificiale. Del resto, l’azienda aveva stretto nel corso degli anni precedenti un’alleanza con OpenAI, all’epoca uno pseudosconosciuto laboratorio di AI no profit, dal quale, per uno scherzo destino, era uscito il prodotto dell’anno – o del decennio?
L’obiettivo di Nadella era approfittare del vento favorevole per espandersi e al centro delle sue brame c’era Google, che invece era stata sorpresa dal successo del chatbot ed era in un periodo di grande sconvolgimento interno. Tanto che il suo CEO Sundar Pichai aveva addirittura dichiarato un “codice rosso” interno, preoccupato dalla portata dell’innovazione. In quei giorni Microsoft annunciò una nuova versione di Bing, il suo motore di ricerca storicamente ignorato da tutti, potenziato con l’AI di OpenAI. Era un’ottima occasione per cercare di cambiare anche solo leggermente gli equilibri del settore della ricerca online, dominato al 93 per cento da Google, con Bing che si accontentava da anni del 2 per cento circa.
Proprio durante quell’intervista, Nadella pronuncia una frase che oggi suona come un passaggio chiave di quel periodo: “Ho la massima ammirazione per Google. Sono un’azienda incredibile, con un talento straordinario. Proprio per questo voglio che innoviamo. Oggi abbiamo portato un po’ più di concorrenza nella ricerca. Ci lavoro da vent’anni e lo aspettavo da tanto. Ma alla fine loro sono il gorilla da 400 chili in questa storia. E spero che, grazie alla nostra innovazione, si sentano spinti a uscire e sanno che sanno che ballare. Voglio che la gente sappia che siamo stati noi a farli ballare”.
Niente motosega né offese via tweet, ma il messaggio era comunque chiaro e piuttosto diretto: Google ha smesso di innovare nel settore e forse ha bisogno di una spintarella, che siamo disposti a offrirle. Dietro quella frase c’era un pianoforte ben preciso. Il mercato della ricerca online vale miliardi: anche lo spostamento di un solo punto percentuale le quote può avere un impatto enorme.
A circa due anni da allora, i numeri sembrano dare ragione a Nadella. Secondo Statcounter, alla fine del 2024 la quota di mercato globale di Google è scesa sotto il 90 per cento per la prima volta dal 2015. Se guardiamo solo al traffico desktop, i dati di Statista mostrano un calo ancora più evidente: Google è passata da una quota stabile tra l’85 per cento e l’87 per cento a un 79,1 per cento registrato nel gennaio 2025. Nello stesso periodo, Bing è cresciuto: dal 6 per cento del 2020 al 12,2 per cento di inizio 2025. Insomma, il gorilla ha ballato.
Certo, questo cambiamento è frutto di diversi fattori. In primis, le intelligenze artificiali stesse che hanno cambiato tutto, da Google (che ha lanciato le AI Overview, con cui risponde agli utenti direttamente) alle abitudini degli utenti, che sempre più spesso utilizzano ChatGPT o chatbot simili al posto dei motori di ricerca. E poi c’è l’antitrust statunitense, che recentemente ha sentenziato che Google ha ottenuto una posizione dominante nel mercato della ricerca, e potrebbe chiedere all’azienda di vendere Chrome, il suo browser.
In tutto questo, però, Bing ha saputo ritagliarsi un nuovo ruolo, scorrendo di dosso l’immagine un po’ sfigata di eterna seconda per convincere un buon numero di utenti a usare il prodotto. Nel frattempo, anche Google si è rimessa in corsa, dopo un’iniziale straniamento. Grazie a DeepMind, il suo laboratorio AI, ha alcuni dei ricercatori più esperti del settore, e la suite di prodotti Gemini è un successo.
Ma resta il fatto che Microsoft è riuscita a smuovere lo status quo. A fare breccia in un settore che sembrava blindato. E lo ha fatto non con i muscoli, ma con una buona idea, una tempistica perfetta e una strategia chiara. Negli affari, a quanto pare, queste cose servono ancora.