Manlio Messina: “Emarginato da FdI. Ecco perché me ne sono andato”

“Un atteggiamento che non mi so spiegare. E mi ha convinto che la tutela dell’immagine di Fratelli d’Italia debba, a correnti alterne, sempre prevalere sul principio del garantismo o sul sacrificio dell’interesse del singolo. Ciò che è capitato a me potrà presto accadere a qualcun altro”, scrive l’ex deputato meloniano

Pubblichiamo la lettera in cui Manlio Messina spiega le motivazioni che lo hanno spinto a lasciare il partito Fratelli d’Italia e a rassegnare le dimissioni dal gruppo parlamentare.


Ho scelto di scrivere queste poche righe per restituire verità alla mia storia. Lo devo alla mia famiglia, alle persone che mi sono state vicine in questi giorni difficili e a chi mi ha concesso sempre la propria fiducia.

Il 29 luglio, ho ricevuto dalla Procura di Palermo la comunicazione di non essere indagato nel procedimento penale che ha coinvolto, tra gli altri, alcuni esponenti di Fratelli d’Italia.

La stessa magistratura, notificando loro l’avviso di conclusione delle indagini, ha ribadito la mia completa estraneità ai fatti, escludendo qualsiasi condotta penalmente rilevante a mio carico.

Eppure, in questi mesi, in nome di un presunto “superiore interesse pubblico” all’informazione – che sembra ormai prevalere sulla ricostruzione rigorosa e obiettiva dei fatti – brandelli selezionati di atti di indagine e brogliacci di intercettazioni riguardanti altri soggetti sono stati sviscerati a puntate sui quotidiani, nel goffo tentativo di coinvolgermi.

Ciò è avvenuto, e il tema non sembra più destare alcuna preoccupazione, nonostante io non avessi diritto, né possibilità di conoscere quegli stessi atti che, al contrario, sono stati consegnati alla stampa da soggetti rimasti – come sempre – ignoti.

Si è arrivati così al paradosso che fatti e comportamenti ricostruiti attraverso una lettura sommaria e parziale di atti di indagine a cui sono estraneo, non ancora sottoposti al vaglio di un Giudice terzo, e comunque, nel mio caso, valutati come privi di rilevanza penale dalla magistratura, sono stati dalla stampa ugualmente elevati a elementi di sospetto a mio carico e dati in pasto all’opinione pubblica per essere trasformati, in poche ore, in verità assolute.

Sono stato quindi costretto a difendermi sulla pubblica piazza da accuse costruite su stralci di dialoghi avvenuti anni fa, ai quali non ho preso parte e il cui significato complessivo non sono in grado di comprendere. Non conosco infatti il contenuto integrale delle intercettazioni citate e di quelle non pubblicate e, soprattutto, il contesto in cui quelle parole sono state dette.

Sono fermamente convinto dell’innocenza del Presidente Galvagno e dell’Assessore Amata, ai quali mi lega un forte sentimento di amicizia e stima e a cui auguro di dimostrare in tempi brevi la loro estraneità ai fatti ipotizzati dalla Procura di Palermo.

Devo in ogni caso ribadire con altrettanta forza di non aver mai compiuto alcun atto illecito e, in particolare, di non aver mai chiesto, sollecitato o indotto chicchessia a concedere finanziamenti o comunque a compiere un qualsiasi atto inerente alla sua funzione, i quali, sono convinto, non hanno mai potuto rappresentare ‒ neanche per i soggetti indagati ‒ merce di scambio di qualsivoglia utilità.

Continuare invece ad affermare, come ho letto su alcuni quotidiani, che io sia addirittura il “regista” di queste vicende, e ciò contro il diverso parere della Procura di Palermo, dimostra, nella migliore delle ipotesi, una scarsa comprensione dei principi elementari del diritto e della procedura penale. Nella peggiore, tradisce il tentativo della stampa, assai scivoloso, di sostituirsi alla magistratura.

Anche nel procedimento sulla cosiddetta “vicenda Cannes”, ormai divenuta nell’immaginario collettivo sinonimo di scandalo, non sono iscritto nel registro degli indagati, né la Procura di Palermo ha mai ritenuto di sentirmi quale persona informata sui fatti. Ma sono anche in questo caso convinto dell’assoluta innocenza dei Dirigenti regionali coinvolti, conoscendone personalmente la storia e avendo avuto l’onore di lavorare al loro fianco per quasi quattro anni.

Eppure, anche in questo caso, da più di un anno, la stampa alimenta unilateralmente il sospetto di condotte illecite, illegittime o eticamente discutibili a me attribuibili, nonostante l’assenza di qualsivoglia elemento di riscontro e, per quel che più mi interessa, in direzione opposta alle valutazioni della magistratura.

L’effetto finale di questo metodo è che, attraverso un’operazione chirurgica, un qualsiasi cittadino venga esposto alla pubblica gogna, senza concreta possibilità di dimostrare la propria innocenza o estraneità ai fatti, se non trasferendo il giudizio sui social e sulla carta stampata o attendendo anni – i più fortunati all’esito di un processo giusto ed equo – quando quella notizia non importerà più a nessuno, e la vita politica, personale e familiare, sarà stata integralmente distrutta e compromessa.

In questo clima, non mi meraviglierebbe allora scoprire, domani o nel prossimo futuro, di essere nuovamente trascinato dentro inchieste giornalistiche o vicende giudiziarie che possano ancora una volta consegnare all’opinione pubblica un nemico da combattere.

Ho condiviso in questi anni con i vertici nazionali del mio partito queste mie preoccupazioni che, lungi dal rappresentare una pretesa di immunità o difesa incondizionata, rappresentano un tema politico. Ma, in risposta, ho potuto solo registrare un lento, ma costante, processo di emarginazione.

Un atteggiamento che non mi so spiegare, specie se messo a confronto con quello riservato ad altri esponenti di Fratelli d’Italia, protagonisti di vicende ben più gravi della mia.

Ciò mi ha convinto, dolorosamente, che nel mio caso ci fosse nel partito spazio per il dubbio sulla legittimità della mia condotta o, cosa ancor più grave, che la tutela dell’immagine di Fratelli d’Italia debba, a correnti alterne, sempre prevalere sul principio del garantismo o sul sacrificio dell’interesse del singolo.

Una scelta che, dopo tutti questi anni di militanza, avrebbe forse imposto una più seria e attenta riflessione al suo interno, perché ciò che è capitato a me potrà presto accadere a qualcun altro.

La mia vicenda racconta qualcosa di più grande di me: racconta un Paese in cui chi è innocente deve difendersi dal sospetto prima ancora che dall’accusa, un Paese in cui l’onta mediatica pesa più di una sentenza.

Oggi scrivo non per rancore, ma per dignità.

Perché la mia vita politica, a cui ho dedicato quasi tutta la mia esistenza, è stata trascinata nella pubblica gogna.

A chi ha voluto infangarmi, rispondo con la forza della mia coscienza.

A chi mi ha voltato le spalle, rispondo con un sorriso amaro, ma sincero.

Ai tanti amici che mi sono rimasti accanto, dico grazie: il vostro sostegno è la prova che la mia battaglia non è vana e che forse, in fondo, non sono solo.

Valuterò infine con il mio legale i tempi e i modi per tutelare in ogni sede la mia onorabilità.

Concludo, ricordando a me stesso, ma soprattutto a chi ha già sentenziato, che non c’è fango abbastanza denso da fermare chi cammina nella verità: e questa è una promessa!

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