La pubblicità con Sydney Sweeney non c’entra niente col razzismo

La bellezza varia a seconda dei luoghi e dei tempi, ma si tratta comunque di una lotteria. Dietro la controversia sullo spot della modella si nasconde qualcosa di più intricato e irresolubile. Un’ingiustizia contro cui tutti protestano, senza che nessuno possa cambiare le cose

Spiace per Donald Trump, ma la pubblicità con Sydney Sweeney non c’entra nulla col suo aver votato per lui né tanto meno con alcun manifesto dell’immaginaria razza ariana, occulto o sottinteso: un po’ perché Sydney Sweeney non è nemmeno bionda naturale, un po’ perché in termini colloquiali, fastidiosi quantunque, è d’uso comune dire che abbia “great genes” chi porti bene i propri anni o goda di un’invidiabile forma fisica. Ho sentito usare in passato la stessa espressione nei confronti di Cindy Crawford e di Mick Jagger, senza dedurre si mirasse alla creazione di un mondo distopico in cui tutti i nascituri somigliassero a lei, né tantomeno a lui.

Dietro la controversia sul presunto razzismo nella pubblicità si nasconde invece qualcosa di più intricato e irresolubile. Sydney Sweeney è senza dubbio attraente, come lo sono e sono sempre stati tutti i modelli di ogni genere, colore ed età che abbiano attirato l’occhio dei passanti urlando la propria bellezza, secondo canoni che variano a seconda dei luoghi e dei tempi ma che conservano la costante di privilegiare una minoranza di fortunati rispetto a una vasta maggioranza di persone che sono nate così così. Purtroppo, si tratta di una lotteria e l’eugenetica non c’entra: è contro quest’ingiustizia che in realtà protestano tutti, senza che nessuno possa farci nulla.

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