Il presidente torna a minacciare l’Ue con dazi al 35 per cento. I bluff sull’energia e la saggia linea Ursula
Donald Trump, intervistato dalla Cnbc, è tornato a parlare dell’accordo sui dazi appena concluso con l’Unione europea: sia per riaffermarlo, sia per metterlo in discussione. In particolare, ha detto che “l’Ue ci ha assicurato 600 miliardi di dollari per farci quello che vogliamo”. Se questa promessa non verrà mantenuta, “alzerò i dazi fino al 35 per cento” (contro il 30 per cento inizialmente minacciato): infatti, “l’unica ragione per cui li ho abbassati al 15 per cento è stata questa”. Il riferimento è all’impegno di effettuare 600 miliardi di dollari di investimenti entro il 2028, in aggiunta ai circa 100 miliardi annuali che già oggi le imprese europee investono negli Usa. Vale, per questa parte dell’accordo, il medesimo caveat già notato nel caso dell’impegno a importare l’equivalente di 750 miliardi di dollari in prodotti energetici (Il Foglio, 31 luglio): Bruxelles può far valere i suoi buoni uffici presso le imprese europee, ma non può in alcun modo costringerle a investire negli Stati Uniti; e certamente nessuno può chiedere loro di mettere sul piatto centinaia di miliardi per farci “quello che vogliamo”.
Attualmente, lo stock di investimenti europei negli Usa è di circa 2.400 miliardi di dollari, quindi non stiamo parlando di cifre platealmente assurde: ma certo Trump non può pretendere che le istituzioni europee siano direttamente responsabili delle scelte di investimento delle imprese. Oltre tutto, più aumentano gli investimenti esteri, più si allarga (a parità di altri elementi) il deficit commerciale. Quindi, il rischio è che proprio il singolo indicatore che Trump giudica più importante finisca per peggiorare, ai suoi occhi, per effetto delle sue stesse politiche. Ma c’è un altro e più importante aspetto: con queste dichiarazioni, la Casa Bianca si conferma un partner inaffidabile. Nei prossimi anni, qualunque accordo andrà considerato provvisorio e ballerino. Il che conferma che Ursula von der Leyen è stata saggia nel negoziato, sforzandosi di minimizzare i danni per l’Europa: qualunque alzata d’orgoglio avrebbe semplicemente aumentato l’ entropia, senza benefici misurabili o prevedibili.