Il premio Nobel per l’Economia e attivista progressista ridimensiona i successi del presidente libertario e vede un’altra crisi finanziaria alle porte. Ma le sue previsioni sul Sud America sono un chiaro esempio di cecità ideologica
L’Argentina è sull’orlo di un’altra crisi, parola di Joseph Stiglitz. Il premio Nobel per l’Economia e attivista progressista, in un evento in Colombia, ha nettamente ridimensionato i successi del libertario Javier Milei dicendo che l’inflazione si è ridotta notevolmente solo perché il governo ha ottenuto un prestito da 20 miliardi dal Fmi e “ha usato questi soldi per mantenere il tasso di cambio stabile, ma non è sostenibile”. Pertanto, questa è la sua profezia, “assisteremo a un’altra crisi tra qualche anno”. Prevedere una crisi finanziaria in Argentina non è un pronostico difficile da azzeccare e, certamente, va tenuto in considerazione quando a farlo è un economista titolato. Ma anche gli studiosi più prestigiosi sono condizionati dai propri pregiudizi politici. E Stiglitz è un chiaro esempio di cecità ideologica, soprattutto quando parla di Sud America.
Nei primi anni Duemila, ad esempio, Stiglitz elogiò la politica economica progressista di Hugo Chávez indicandolo come un modello alternativo alla globalizzazione neoliberale: il Venezuela chavista è oggi una dittatura che ha sofferto una delle catastrofi economiche peggiori della storia, con un crollo del pil del 75 per cento e un esodo dal paese del 25 per cento della popolazione. Ma anche in Argentina Stiglitz ha indicato la via, sostenendo i governi Kirchner che truccavano le statistiche ufficiali e hanno fatto aumentare inflazione e povertà. L’economista americano è stato un punto di riferimento intellettuale dell’ultimo governo peronista di Alberto Fernández, che aveva come ministro dell’Economia proprio un allievo di Stigliz come Martín Guzmán. Anche in questo caso le sue previsioni sono risultate un po’ avventate. A gennaio del 2022, Stigliz scrisse un editoriale sul “miracolo economico” dell’Argentina che, secondo lui, stava uscendo dal Covid con una crescita portentosa grazie al rifiuto dell’austerity. L’editoriale di Stiglitz fu aspramente criticato da economisti sudamericani come Andrés Velasco (già ministro dell’Economia del Cile nel governo socialista Bachelet) ed Eduardo Levy Yeyati che parlarono di un “miracolo immaginario”, visto che la ripresa del pil era un semplice rimbalzo dopo una gestione disastrosa durante il Covid e il paese si trovava in una situazione critica per l’aumento dell’inflazione e della povertà.
I fatti non ci misero molto a smentire il miracolismo di Stiglitz. Pochi mesi dopo, a luglio 2022, all’improvviso il suo pupillo Guzmán si dimise da ministro perché i conti erano fuori controllo e il paese non era in grado di rispettare l’accordo appena sottoscritto con il Fmi. Persino l’allievo di Guzman voleva un po’ di “austerity”, ma non riusciva a mettere le finanze in ordine. Il deficit, sempre più ampio, veniva coperto stampando moneta. L’inflazione, che era crescente, aveva spiccato il volo passando dal 50,9 per cento del 2021 al 94,8 per cento del 2022 fino al 211,4 per cento nel 2023. Di conseguenza la povertà dilagava. Il frutto di questa “miracolo” è proprio Milei, che fa l’esatto opposto di ciò che predica Stiglitz. Può darsi che, come dice il Nobel, ci sarà una crisi. Ma le sue previsioni vanno prese per quello che valgono, come l’auspicio di un militante. Per il momento in Argentina il bilancio statale è in avanzo, l’economia cresce al 6 per cento, l’inflazione è crollata al 30 per cento annuale e la povertà è scesa a livelli inferiori a quelli registrati durante tutto il precedente governo peronista.