Sanità, trasporti, migranti. Cosa conta per chi ha votato la premier senza essere un elettore di destra: “In effetti non lo so se li rivoto”
La mia amica Daniela aveva votato abbastanza convintamente il governo Meloni. In realtà la mia amica aveva votato Giorgia Meloni, aveva solo una vaga idea di cosa si intendesse per “classe dirigente” e dunque non si era certo posta il problema di sapere se Meloni o meglio il suo governo avrebbero avuto una classe dirigente all’altezza come si andava dicendo in campagna elettorale. Del tutto disinteressata anzi quasi un po’ infastidita dalle polemiche su fascismo, busti di Mussolini e “ciarpame vario”, così lo definiva, era invece compiaciuta dall’idea che una donna potesse finalmente governare. E così, delusa dall’esperienza del Movimento cinque stelle a cui aveva guardato in precedenza, si era risolta a dire sì a “Giorgia” percependola come “una di noi”. Quello che le interessava, e che pensava “Giorgia” avrebbe fatto, era “riportare un po’ di ordine” che secondo il personalissimo metro della mia amica (titolare di un dignitoso negozio in zona semicentrale a Roma) significava sostanzialmente non ritrovarsi tre negozi di bangla sotto casa che “non pagano niente, non fanno scontrini, nessuno controlla”, pagare meno tasse, non impazzire ogni giorno con la burocrazia e magari tornare a casa la sera sentendosi più sicura anche se poi, a domanda diretta, ammetteva che no, in effetti non viveva nel far west e non era circondata da banditi. Meglio però non correre rischi. Poi certo non le dispiaceva affatto immaginare che il nostro paese “avrebbe fatto bella figura” nei consessi internazionali e no, non si riferiva solo agli abiti indossati da Meloni anche se ammetteva “pure quelli contano”.
E così l’altro giorno fra una chiacchiera e l’altra nel suo negozio desolatamente vuoto, “ormai entra pochissima gente, se non vendessi online sarei rovinata”, l’altro giorno le ho chiesto se rivoterebbe per Meloni. Daniela mi ha guardato, ha fatto una specie di mezzo sorriso, ha sbuffato un po’ e poi ha mormorato: “Sì, la rivoterei anche perché l’alternativa mi sembra peggio”. E l’Albania, le ho chiesto? Non era una domanda innocente, lo ammetto. Il centro d’accoglienza in Albania alla mia amica non era piaciuto per niente e non perché non sia lecito nella maggior parte dei casi portarci i migranti ma perché “costa troppo e non funziona”. Insomma si era rivelato una presa in giro con tutti quei poliziotti a fare avanti e indietro in nave e gli altri rimasti lì a fare la guardia al bidone. “Allora tanto valeva farlo qui”, aveva concluso. A quel punto mi sono ricordata che qualche tempo prima mi aveva parlato di un certo malessere della madre, ormai anziana e le ho chiesto come stesse. Ne è seguita lunga e dettagliata disamina di sintomi, tentativi di appuntamenti per esami e visite sempre più complicate da ottenere ma la conclusione è stata che la sanità è peggiorata dopo il covid e insomma sì, il governo forse non si era impegnato molto ma “non è che si possono fare i miracoli”. Stavamo per salutarci quando le è squillato il telefono. Era la nipote, doveva andare non ricordo bene dove (Firenze forse) per una fiera di settore ma era bloccata alla stazione, “praticamente tutti i treni sono in ritardo, ma no 10 minuti, un’ora, un’ora e mezza!”. L’ho guardata sillabando muta “eh quando c’era Lui”. Ha chiuso, imprecato contro Salvini e sibilato “beh, in effetti non lo so se li rivoto”.
Flavia Fratello