Mille giorni di governo Meloni: estremismi smorzati e responsabilità, i cittadini se ne sono accorti

Prudenza fiscale, credibilità internazionale e occupazione in crescita: i dati raccontano un bilancio meno divisivo di quanto si creda. Così la premier ha consolidato il quadro economico e il posizionamento internazionale dell’Italia

Il giudizio sul governo Meloni, giunto ai suoi mille giorni, dipende ovviamente dai criteri o indicatori adottati. I governi sono chiamati a perseguire gli interessi dei cittadini, tutti i cittadini. Ma quando i ministri giurano, all’atto del loro insediamento, “di essere fedeli alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le loro funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”, evidentemente hanno una idea non sempre da tutti condivisa di quale sia l’interesse della nazione. Certamente il fine dell’azione di un governo non dovrebbe essere principalmente quello di essere rieletto. Ciò non è facile nella pratica, è anzi il lato debole delle democrazie. Queste considerazioni generali non impediscono di cercare alcuni indicatori oggettivi per capire se il governo Meloni abbia perseguito gli interessi della nazione nel suo complesso e se l’Italia stia meglio oggi rispetto al momento del suo insediamento.


Il governo aveva ereditato una situazione di finanza pubblica disastrata dal superbonus e che solo l’arrivo di una personalità come Draghi aveva impedito di leggerne le conseguenze drammatiche immediate nei mercati finanziari. Ma è stato il governo Meloni a decidere, e guidare senza scossoni significativi, l’uscita da questa norma e avviare una politica di bilancio prudente e seria tale da riconquistare la fiducia dei mercati finanziari sul debito italiano. Lo ha fatto in un momento in cui l’inflazione tagliava i redditi fissi e in cui il vantaggio iniziale portato dalla stessa inflazione sui saldi del bilancio pubblico si esauriva e iniziava il contraccolpo dei costi in salita sulla spesa pubblica. A fronte di un’economia europea frenata dalla politica restrittiva della Bce, che con ritardo si è impegnata nella lotta all’inflazione, ha maneggiato con attenzione la leva fiscale per utilizzare le poche risorse nella direzione del sostegno ai redditi più bassi. L’inflazione è scesa anche perché non si sono scatenati conflitti distributivi. Il risultato è che oggi l’economia italiana sta meglio di gran parte di quella dei maggiori paesi europei. I redditi reali hanno iniziato a recuperare su quanto perso con l’inflazione e, soprattutto, l’occupazione cresce. Il fatto che non si vedano i segni di un aumento di produttività, anche a causa di una debolezza dei metodi di misurazione di questo indicatore, non toglie che l’aumento dell’occupazione sia un segnale di inclusione e di rafforzamento dell’unità sociale oltre che di maggior benessere economico. Ma è sulla collocazione dell’Italia nel contesto internazionale che il governo Meloni ha fino ad oggi mostrato oggettivamente successo e solidità.

Ha esercitato il diritto democratico di dissentire nella formazione dell’attuale governance europea, la cui debolezza ci sembra peraltro confermata, ma ha poi lealmente collaborato al mantenimento dell’unità europea. Ha tenuto con fermezza le posizioni atlantiche e di sostegno all’Ucraina aggredita ed appare nel confronto con gli stati Uniti come uno dei governi europei più stabili e responsabili a fronte dell’impotenza bellicista di governi deboli come quello francese e britannico. Ha saputo mantenere rapporti equilibrati con il resto del mondo e ha richiamato la centralità dell’Africa per l’Europa. Alcuni avrebbero voluto una più rapida riforma della giustizia, ma anche in questo caso, come sul tema dell’immigrazione, si procede con responsabilità e senza estremismi. Si stanno perseguendo gli interessi della nazione? Il giudizio lo devono dare i cittadini più che i commentatori, e secondo i sondaggi non è negativo.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.