Intervista al neuroscienziato noto per la scoperta dei neuroni specchio: “Le scene di guerra rimandate ogni giorno dalla tv, o l’ennesimo femminicidio, colpiscono meno. Bisogna stare attenti alla comunicazione: il mostro sempre in prima pagina dopo un po’ non fa effetto”
Ci sono scoperte scientifiche che modificano il lessico. Chi ha vissuto un po’ più di Novecento ricorderà che il vocabolo “empatia”, oggi captato al bar, affiorava solo sulle labbra di studiosi di estetica o di alcuni psicologi. Fu negli anni Novanta, quando i ricercatori dell’università di Parma guidati dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti scoprirono i neuroni specchio, che la parola cominciò a incrementare la diffusione. Da allora, malgrado i riconoscimenti e la circostanza che lui sembri non curarsene, molti si chiedono perché a Rizzolatti non sia stato dato il Premio Nobel e se glielo daranno.
Nel cervello ci sono neuroni che s’attivano per ripetere l’azione osservata e che riflettono emozioni e sensazioni di un altro come se le vivessero in prima persona.
Se vedo un bambino investito da un’auto è come se fossi stato investito io stesso. Questa è l’empatia in senso proprio, con un riflesso vegetativo sull’organismo dell’osservatore per effetto dei neuroni specchio. C’è poi l’empatia in senso generico, frutto del ragionamento successivo, quando rifletterò sui problemi della sicurezza stradale.
Un criminale prova empatia?
Dipende. Esperimenti fatti a Chicago su condannati a pene gravi dimostrano che c’è chi delinque per lucrare e chi come i sadici ha una empatia negativa, al rovescio: capisce la sofferenza altrui ma può addirittura goderne.
Sbagliava il filosofo Mencio sostenendo che la natura degli uomini è buona, perché chiunque veda un bimbo in procinto di cadere in un pozzo prova angoscia e l’impulso di salvarlo?
Purtroppo c’è anche chi al bimbo darebbe una spintarella. “Mad or bad” e c’è chi è tutt’e due. Gli aspetti fisiologici possono essere modificati dall’ambiente: è cruciale come si viene allevati nell’infanzia. Un bambino cresciuto in maniera empatica diventerà quasi certamente un adulto empatico, ma se lo maltrattano ci sono alte probabilità che diventi cattivo.
I bambini di una volta, quando vedevano sgozzare una gallina, generalmente non provavano orrore. Adesso forse sì.
L’empatia è fisiologica ma subisce l’influenza dei cambiamenti storici, dei contesti culturali, dell’ambiente contadino o cittadino. Per non parlare delle ideologie: cito spesso il caso del criminale nazista Adolf Eichmann, che amava la famiglia, i bambini, gli animali. Ma Hitler gli aveva insegnato che gli ebrei erano “untermenschen”, quindi per loro non provava empatia. Un’ideologia malvagia può stravolgere la verità.
E le religioni?
L’empatia è rafforzata da un comando superiore. Mosè scende dal monte dove ha parlato con Dio, che ha detto di fare così e così. Una persona normalmente è dotata di un sistema neurale che attiva l’empatia e le religioni la consolidano con i precetti: aiuta chi soffre, sfama il povero.
L’abitudine affievolisce l’empatia?
Purtroppo sì: la seconda volta fa meno impressione della prima. Le scene di guerra rimandate ogni giorno dalla tv, o l’ennesimo femminicidio, colpiscono meno. Bisogna stare attenti alla comunicazione: il mostro sempre in prima pagina dopo un po’ non fa effetto.
La scena di una fiction attiva i neuroni specchio quanto una dal vero?
C’è una gradazione. La scena dal vero ha il massimo effetto. Al secondo posto, secondo uno studio giapponese, c’è il teatro; al terzo il cinema. Mi riferisco all’empatia basata su dati oggettivi come i battiti cardiaci, la pressione, eccetera.
Prima che il termine si diffondesse si usava dire “compassione”.
Preferisco empatia: la compassione sembra provenire dall’alto. L’empatia sottende che siamo uguali, è una risposta tra pari, un progresso culturale.
Come si diventa più empatici?
Con i comportamenti. Per esempio non dando del “tu” a chi ha la pelle scura. Tanti dicono di non essere razzisti ma non affitterebbero casa a un extracomunitario. Quando ero studente accadeva con i meridionali.
L’Intelligenza artificiale non ha neuroni specchio. La preoccupa?
Non mi preoccupa proprio per questo. C’è chi è convinto che ChatGPT comunichi tutto perché dialoga su tutto, ma l’empatia è frutto anche delle espressioni, dei gesti, delle intonazioni che rendono il rapporto più forte. Ricordo un collega bravissimo ma non muoveva mai un muscolo facciale: gli studenti lo detestavano perché non riuscivano a capire cosa provasse per loro.
I meccanismi emozionali rafforzano l’apprendimento come l’imitazione, altro effetto del funzionamento “mirror”.
Alla Humanitas di Milano prima di un’operazione all’anca mostrano al paziente come si cammina bene perché il cervello apprenda il programma motorio. E nelle discipline sportive si proiettano agli atleti i filmati con i gesti tecnici dei campioni.
Quando si è reso conto della portata rivoluzionaria della sua scoperta?
Quando capii che i neuroni motori ripetevano l’azione osservata fui addirittura spaventato. Mi dicevo: com’è possibile? Uno scienziato pensa ai dati, non a fare rivoluzioni. Poi mi sono accorto che la scoperta ha avuto un fortissimo impatto anche culturale.
Come mai è nato in Ucraina?
All’epoca era Unione Sovietica. Il mio bisnonno era emigrato nella Russia zarista diventando un imprenditore molto ricco, e anche se con la rivoluzione i nostri beni furono nazionalizzati la mia famiglia continuò a vivere nell’Urss. Mio padre vi si laureò in Medicina, però prima dovette scontare l’origine borghese facendo l’infermiere per un anno. Poi, con la guerra di Spagna, Stalin scacciò gli italiani. I miei rimpatriarono che avevo pochi mesi. Successivamente ho sviluppato ottimi rapporti con i colleghi russi, soprattutto nel campo della fisiologia.
È una persona empatica?
Credo di sì. Quantomeno molto socievole.