Il ministro attacca i banchieri troppo legati al profitto, rivendica il ruolo attivissimo dello stato nella finanza ed entra in conflitto (e in contraddizione) con Bankitalia sulle banche più grandi. Il j’accuse del ministro, con scivolate
“Il banchiere concentrato sul mero conseguimento del profitto e della sua distribuzione nel breve termine commette lo stesso errore del politico teso al puro conseguimento del consenso elettorale”. E’ serafico il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, quando, collegato all’assemblea dell’Abi, alla quale poco prima era intervenuto il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, lancia l’insolita metafora. Serafico e deciso ad arrivare fino in fondo in un ragionamento che ha come obiettivo quello di ricordare ai banchieri quale sia, a parere suo e del governo Meloni, il ruolo dei banchieri italiani: concentrarsi di più sull’erogazione del credito e meno sulla distribuzione di dividendi.
“L’economia – ha detto il ministro – non cresce grazie al risparmio in sé, ma quando questo viene raccolto per essere prestato e investito”. Parole come una stoccata alle banche, che da tempo stanno rincorrendo il business delle gestioni patrimoniali per ammortizzare la caduta dei margini di profitto dovuta al calo dei tassi d’interesse. “Non ci si può limitare a gestire la ricchezza esistente, bisogna creare nuova ricchezza”, ha insistito Giorgetti. E ancora: “Dal 2011 la capacità delle banche di erogare credito si è ridotta di un terzo”. Infine, con implicito riferimento all’operazione Unicredit-Banco Bpm – su cui il governo ha imposto il golden power – dice: “Non guardo alla nazionalità dei banchieri ma alla loro capacità di far crescere l’economia”. Smentisce così il vice capo del governo, e capo di partito, Matteo Salvini, che aveva detto che Unicredit è una banca estera. Ma comunque suggerisce che l’italianità non è un vantaggio. Il Giorgetti pensiero su questi temi è noto, ma il suo lungo (40 minuti) e intenso discorso all’Abi è sembrato un atto di indirizzo strategico agli operatori del settore.
Poco prima, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, aveva evidenziato come le attuali turbolenze e tensioni geopolitiche potrebbero peggiorare le prospettive economiche e innescare un deterioramento dei crediti erogati, motivo per cui sarebbe fondamentale sbloccare uno strumento come il Mes, che il governo tiene congelato. Sebbene, c’è da dire, Patuelli ha posto la questione del Mes in una forma che piace al governo Meloni: non ha criticato apertamente la mancata ratifica ma ha detto che “ occorre trasformare il Mes in un organismo della Ue” (un’ipotesi attualmente irrealistica).
Insomma, sono state più dure le critiche di Giorgetti alle banche. E anche se alla fine quasi tutti i banchieri presenti si sono affrettati a concordare con quanto detto dal ministro, è più che evidente che le posizioni sono distanti soprattutto quando Giorgetti ha rimproverato loro quella che considerano una missione quasi sacra: la remunerazione degli azionisti. “Le banche italiane sono le più attive in Europa su cedole e buyback”, ha punzecchiato il titolare del Mef. Nel momento in cui ha pronunciato questa frase, in sala è calato il silenzio, anche perché poi ha aggiunto che una così generosa politica dei dividendi è stata sostenuta dalle garanzie pubbliche sui prestiti, misura che è stata introdotta durante il Covid e che ha portato lo stato ad avere un’esposizione potenziale di 294 miliardi. “Ma da quella fase emergenziale bisogna uscire così come siamo usciti dal Superbonus” (altra stoccata all’Abi che ne aveva chiesto un’estensione).
Nel complesso, Giorgetti, pur evitando di entrare nel merito delle operazioni in corso, tanto meno ha accennato a una replica al diktat del governo tedesco a Unicredit di fare un passo indietro su Commerzbank, ha voluto ribadire le motivazioni che hanno spinto il governo a essere parte attiva del riassetto del sistema: più credito all’economia e utilizzo del risparmio per la crescita, tralasciando un aspetto fondamentale e cioè che è la ricerca della redditività il motore del business bancario e attira la presenza di investitori di mercato.
Il ministro si è, infine, mostrato d’accordo con il governatore Panetta sulla necessità di completare l’unione bancaria e procedere a un sistema comune di assicurazione dei depositi. Come per dire che ci vuole più Europa. Ma anche qui sembra esserci una contraddizione perché Panetta ha spiegato chiaramente che l’Europa esporta ricchezza privata negli Stati Uniti perché, a differenza di quel paese, “investe meno di quanto risparmia” (3.200 miliardi a fronte di 3.700, nel 2024). La ragione per cui questo accade è “il limitato sviluppo e la minore articolazione del mercato dei capitali”. Per il governatore di Bankitalia, è “essenziale rafforzare l’architettura finanziaria dell’Unione creando le condizioni per attrarre e trattenere capitali”, in un momento in cui gli investitori stanno cercando alternative agli asset americani. Ma tutto questo non implica anche avere banche europee più grandi, anche attraverso fusioni tra istituti di paesi diversi? E come si raggiunge questo obiettivo se gli stati proteggono i confini domestici? Insomma, come dice Panetta, il quale ha ribadito anche la necessità di un titolo pubblico comune europeo, privo di rischio, per investire in settori strategici, si tratta di “una sfida istituzionale e politica”.