I rettori contro le leggi razziali. Un monito che valeva ieri come oggi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Nel 2018 i rettori delle università italiane riuniti a San Rossore alla presenza del capo dello stato, chiesero perdono per le “leggi razziali” del 1938. Le leggi del 1938 ebbero una conseguenza devastante per l’università italiana. Intere scuole di pensiero furono da un giorno all’altro azzerate. I matematici a cui Einstein si appoggiò per i calcoli della teoria della relatività, i giovani e brillanti allievi di Fermi, che per solidarietà verso la moglie abbandonò il paese, gli psicologi che misuravano il tempo e gettavano le basi per un dialogo le discipline psicologiche sperimentali e la psicologia del profondo. Medici e scienziati di ogni campo che fecero grandi le università dei paesi in cui trovarono rifugio. Ben cinque premi Nobel sono frutto di una dolorosa migrazione di cui il sistema universitario paga ancora oggi le conseguenze etiche e scientifiche. Tra gli accademici e i giovani studiosi che si salvarono fuggendo in tempo, c’è un gruppo importante che ha contribuito in una grande avventura di resilienza a gettare le basi di due dei più importanti centri di ricerca nel mondo: il Tekhnion di Haifa e la Hebrew University di Gerusalemme. Le università israeliane sono anche un pezzo di storia dolorante italiana di un passato che non passa e di un futuro possibile di convivenza pacifica da costruire, a cui le università israeliane non hanno mai rinunciato. Se non fosse per le implicazioni morali e per le conseguenze, potenzialmente devastanti, verrebbe da ridere amaramente al pensiero che dopo avere atteso 80 anni per ricordare, in una coazione a ripetere di freudiana memoria, a molti siano bastati appena cinque anni per dimenticare.

David Meghnagi


ordinario Società psicoanalitica italiana, Università Roma Tre

Dissero all’epoca i rettori: “Il nostro compito è di far capire che ciò che ha riguardato gli ebrei italiani può riguardare chiunque”. Valeva ieri e purtroppo vale ancora oggi.


Al direttore – Caro Cerasa, Il suo pezzo è azzeccatissimo, Meloni vorrebbe (forse), ma non ha il coraggio di essere coerente con ciò che è diventata. L’astensione di FdI è uno smacco totale, una vergogna che la dice lunga, peraltro confermando i vostri giudizi sulle distanze tra la “maturazione” politica di Meloni e il rimanere arroccato a posizioni anacronistiche del suo partito. Giovedì a Bruxelles hanno dimostrato una vigliaccheria incredibile. Mi è piaciuta la sua citazione della canzone di Venditti, abilmente inserita nel testo (amo questa canzone perché infonde nostalgia, inconfondibilmente).

Georg Duhr


Al direttore – Oggi ho letto un articolo formidabile sul Foglio. Uno dei più belli che abbia mai letto. Parla della bellezza della liturgia del vivere che si sprigiona soprattutto quando si stacca dalle urgenze quotidiane e si va in vacanza. Vivere, come ripete Vasco Rossi nella sua celebre canzone, è il senso della vita. E il respiro dilatato che offrono il verde dei prati, le cime dei monti e l’infinità del mare, è la nostra azione di lode (liturgia) e quindi il momento più bello della nostra esperienza. Respirare a fondo, in tranquillità, ci libera da quel senso di colpa per tutto il male del mondo che, se da una parte ci rende fratelli e sorelle, dall’altra ci appesantisce di un fardello che non siamo in grado di portare. Viva la vita dunque! Evviva i polmoni che si dilatano al massimo sapendo di essere amati da un Dio che desidera passeggiare (e non spiare) con le sue creature nel giardino più bello del mondo, il paradiso della Terra. Anche a Castel Gandolfo. Grazie Giuliano.

Umberto Fasol


Al direttore- Se basta una mozione di un europarlamentare “scappato di casa” in Romania per mandare sull’Aventino il gruppo di FdI a Strasburgo in un voto importante come quello sulla sfiducia a Ursula von der Leyen ciò significa che Giorgia Meloni a volte ha paura, in Europa, persino dell’ombra di Salvini.

Giuliano Cazzola

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