Il torneo voluto da Infantino regala una finale da vedere (Chelsea-Paris Saint-Germain) dopo il flop degli sponsor e dei biglietti venduti sottocosto
Tutto naturale il calcio non è più da un pezzo, ma niente era mai stato di plastica come il Mondiale per club. Si chiude domani, se qualcuno non se n’è accorto era iniziato lo scorso 14 giugno. Certo, Chelsea-Paris Saint-Germain è una partita da vedere (anche su Mediaset che comunque ha fatto buoni ascolti, ndr), ma l’estate è piena di partite di cartello messe su per lo show su cui chi segue il calcio si vuole sintonizzare, alcune fanno anche buoni ascolti e del resto anche l’ultimo torneo Birra Moretti (2008, con Juventus, Milan e Napoli) fece quasi il 26 per cento di share (il 25,92 per cento, per essere precisi). Il punto è che per arrivare fin qui è stato montato un baraccone non da poco, spacciando per nuova èra del pallone un mercato di partite: più ne giochi, più guadagni, e mentre tu guadagni io fingo che sia una manifestazione di interesse planetario per vendere il prossimo.
La domanda, quindi, è cosa ha rappresentato il Mondiale per club. Una esibizione dell’ego di Infantino, una serie di sue roboanti uscite sui social, il tentativo di scavalcare l’Uefa e la Champions (il vero obiettivo) annunciando l’ingresso del pallone in una nuova èra. Che speriamo non sia vera, perché se questo è il principio (magari con le prossime andrà meglio, chi lo sa) la nuova epoca che annuncia il capo del calcio mondiale è fatta di finzione, di tornei di plastica, spettatori raccattati in giro.
Il Mondiale per club doveva attrarre l’attenzione delle tv, nell’immaginario di Infantino pronte a svenarsi per accaparrarsene i diritti, ma l’unico acquirente, peraltro in grosso ritardo rispetto al previsto, è stata Dazn, di cui qualche settimana prima Pif, il fondo sovrano saudita, aveva acquistato una quota minoritaria per un miliardo di dollari, che poi è diventata il prezzo dei diritti tv (quindi pagati di fatto dal fondo saudita) e il montepremi totale del torneo, per invogliare le squadre che lo stavano snobbando e che poi tutto sommato lo hanno snobbato lo stesso, non interpretandolo proprio come il torneo della svolta mondiale del calcio (troppo caldo, poca voglia, a volte troppo squilibrio), ma almeno hanno incassato senza premere troppo sull’acceleratore. Dopo di che, ci sarebbero stati gli sponsor a rendere il torneo sostenibile, ma nemmeno qui sono arrivati i soldi attesi e allora ecco materializzarsi, come partner economico, ancora il fondo sovrano dell’Arabia Saudita. In pratica il Mondiale per club si è giocato solo grazie ai soldi sauditi e a un viaggio di Infantino al fianco di Donald Trump. Senza, non sarebbe stato possibile. In cambio, l’Arabia Saudita ha già ottenuto il Mondiale 2034, Trump era già premiato con quello del 2026, ora con questo torneo e dalle prossime settimane con una sede fissa della Fifa nella Trump Tower, giusto per non far sfuggire nemmeno agli occhi dei distratti a che punto di contaminazione siamo.
Quindi il Mondiale per club, altrimenti detto Coppa Infantino (serve a lui, non al calcio, soldi a parte) è stato comprato con i petroldollari e venduto alle squadre, che in cambio di una simulazione di entusiasmo hanno incassato così tanti soldi che nella gran parte dei giornali internazionali i passaggi del turno non venivano calcolati come imprese sportive e le eliminazioni non erano viste come un eventuale insuccesso: tutto si traduceva nella somma che le partite davano la possibilità di ricevere grazie ai ricchi premi (e pure qualche cotillon). Si dirà, ma Chelsea-Psg è una grande partita, lo era anche Psg-Real Madrid e anche altre che se ne sono giocate. Ma per cento milioni di euro guadagnati in meno di un mese, giocando al massimo sette partite, queste squadre giocherebbero anche allo stadio dei Ferrovieri, vicino Fidene, un quartiere periferico di Roma.
Ma soprattutto la Fifa non ha potuto contare nemmeno sugli incassi che aveva previsto, il Mondiale non ha attirato l’attenzione degli statunitensi, non ha creato movimento e nemmeno i ricavi da botteghino attesi. Qui si è scoperto presto il più grande bluff di un torneo già abbastanza finto: con le prevendite bassissime e il timore di stadi vuoti, Infantino ha cercato di aggirare l’ostacolo, pensando che fossero meglio gli spalti pieni per salvare l’immagine di un torneo che è solo immagine e per provare poi a vendere quelle foto artefatte di tifosi sugli spalti per la prossima edizione (che potrebbe essere in Qatar, tra quattro anni, quindi in inverno. Fermerebbe tutti i campionati, ma questo a chi importa?). Quindi un investimento monstre per il marketing e per pagare influencer e provare ad attirare giovani, ma niente. Allora ecco i prezzi dinamici, che invece di alzarsi quando la disponibilità si fa ridotta (e quindi diventano preziosi), si abbassano mentre si avvicina la partita in modo non di recuperare dei soldi, ma almeno salvare la faccia.
Ammesso che si possa salvare la faccia se per il quarto di finale tra Fluminense e Al-Hilal i biglietti costavano 11,15 dollari, per Chelsea- Palmeiras 22,30 dollari e per Bayern Monaco-Psg 44,60 dollari e se per le prime partite i giovani potevano comprare un biglietto a 20 dollari e portare altri tre amici con loro. Non basta? The Athletic ha monitorato i prezzi della semifinale tra Chelsea e Fluminense, che in 72 ore sono passati da 473 dollari per un biglietto a 13,40 dollari qualche giorno prima della partita, finendo per costare meno di una birra all’interno dello stadio (14 euro). In più sempre la costola sportiva del NY Times ha potuto vedere una email in cui si dava la possibilità ai volontari di ricevere dei biglietti omaggio, a patto che sugli spalti andassero senza la casacca, per sembrare pubblico pagante. Un capolavoro di finzione, che domani finisce con una squadra che prende la coppa e un sacco di soldi per aver giocato a temperature impossibili un torneo di cui nessuno si ricorderà, a parte chi redige i bilanci. A proposito: il trofeo è nell’ufficio di Trump. Speriamo che qualcuno si ricordi di portarlo.