Il governo ci riprova con il payback, ma alle pmi di dispositivi medici il compromesso non piace

Il decreto Economia approvato dal governo prevede un pagamento ridotto per chiudere i contenziosi del periodo 2015-2018. Ma le associazioni di categoria avvertono: senza correttivi su franchigie, dilazioni e responsabilità delle Regioni, il rischio è una crisi sistemica nel settore sanitario

Lo scorso 20 giugno, con l’approvazione del cosiddetto “decreto Economia”, il Consiglio dei ministri ha tentato un nuovo intervento risolutivo sulla lunga e controversa vicenda del payback per i dispositivi medici relativi al periodo 2015-2018. Il provvedimento, già definito da molti come un compromesso necessario ma insufficiente, introduce una misura di “definizione agevolata” per le aziende fornitrici: il pagamento del 25 per cento degli importi richiesti – pari a circa 500 milioni di euro – consentirà l’estinzione definitiva dei debiti, escludendo qualsiasi ulteriore contenzioso giudiziario.

Le imprese avranno trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto per effettuare il versamento agevolato. In caso di adesione, le regioni pubblicano gli avvisi di riscontro sui propri siti istituzionali e nei bollettini ufficiali, informando il Tar del Lazio, che procederà alla chiusura dei procedimenti pendenti. Se invece le aziende non aderiranno alla proposta, resteranno in vigore le precedenti misure sanzionatorie, mantenendo lo scenario di incertezza che ha accompagnato la vicenda negli ultimi anni.

A sostegno di questa misura, il governo ha previsto anche un nuovo fondo da 360 milioni di euro per il 2025, che si aggiunge al miliardo già stanziato con il decreto Bollette del marzo 2024. Le risorse serviranno a compensare le regioni per i minori introiti legati allo stralcio dei crediti. I fondi saranno distribuiti in proporzione agli importi originariamente richiesti nel quadriennio 2015-2018 e saranno erogati entro 30 giorni dalla comunicazione di avvenuto recupero da parte delle amministrazioni locali. I restanti 140 milioni di euro necessari per il riequilibrio contabile saranno a carico delle regioni, che potranno inserirli come passività nei bilanci 2025.

Il tema del payback dispositivi medici affonda le sue radici in un meccanismo previsto dalla normativa per contenere la spesa sanitaria, secondo cui le aziende fornitrici devono partecipare al ripiano degli sforamenti dei tetti di spesa. La questione, come accennavamo, venne affrontata dal governo Meloni già con il decreto-legge 34/2023, quando venne stabilito un primo contributo da un miliardo a carico delle aziende, cifra ritenuta insostenibile da gran parte del comparto, soprattutto dalle piccole e medie imprese.

Nonostante numerosi ricorsi, la Corte costituzionale e il Tar del Lazio hanno confermato la legittimità del meccanismo, respingendo le contestazioni delle imprese. Tuttavia, la preoccupazione per la tenuta del settore ha portato il ministero dell’Economia a convocare un tavolo tecnico lo scorso 15 maggio, in cui è stata avanzata l’attuale proposta di saldo agevolato, basata su una suddivisione dei residui tra stato, regioni e imprese.

Nonostante l’apertura mostrata dal governo, la reazione delle principali associazioni di categoria è stata tutt’altro che positiva. Confapi Sanità, Conflavoro Pmi Sanità e Fifo Sanità Confcommercio hanno espresso “profonda preoccupazione” per l’impatto che la formulazione attuale del decreto potrebbe avere sull’intero tessuto produttivo nazionale. In particolare, le associazioni evidenziano tre carenze fondamentali nel decreto: franchigia minima di cinque milioni di euro, per tutelare le micro, piccole e medie imprese che risultano le più vulnerabili; contributo delle regioni, chiamate a partecipare alla copertura degli sforamenti dei tetti di spesa, considerata la corresponsabilità gestionale nella spesa sanitaria; dilazione pluriennale dei pagamenti, al fine di garantire la sostenibilità finanziaria e la continuità operativa delle aziende coinvolte.

Le proiezioni condivise dalle associazioni parlano chiaro: senza correttivi, il decreto rischia di innescare una crisi sistemica, con conseguenze sul piano occupazionale, sulla concorrenza e sulla continuità nell’erogazione delle forniture sanitarie. Il timore maggiore è che l’attuale assetto possa determinare un drastico ridimensionamento dell’offerta, favorendo una pericolosa deriva oligopolistica a danno del pluralismo e della qualità nel settore. Insomma, anche l’attuale testo attualmente all’esame di Palazzo Madama rischia di non essere pienamente risolutivo. Il rischio di non riuscire a lasciarsi alle spalle una volta per tutte il tema del ripiano degli anni 2015-2018 è ancora concreto. E sarà ancora necessario proseguire un dialogo istituzionale con le piccole aziende per evitare ripercussioni sull’intera filiera della sanità pubblica. Il tema potrebbe essere tutt’altro che chiuso.

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