Chi non vuole armare le democrazie non fa un favore alla pace

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Ogni volta che parliamo di Ucraina, proviamo a immaginare quali argomenti potrebbero convincere i pacifisti a riconsiderare una possibile difesa degli aggrediti come una probabile difesa dell’Europa stessa. Ma la prima domanda è: difesa di che cosa e per che cosa? In realtà il modello della democrazia occidentale piace di fatto a chi ci pascola (residente o immigrato, perfino a Trump) ma non ci è poi così familiare nella sua natura e nella sua genesi, in modo che si ritiene che i suoi benefici possano essere mantenuti a costo zero, sacrificando magari un po’ di sovranità. Alcuni poi, come i Salvini o i Conte, sarebbero ben lieti di rigenerarsi politicamente come presidenti di un’Italia delle banane, alla scuola di Lukashenka, con Travaglio al ministero della Cultura e dell’Informazione. Ma attenzione, non è una questione di politici o giornalisti ideologici e opportunisti: è il popolo, siamo noi, a pensarla così. Allora emerge la seconda domanda per tutti noi, la stessa di sempre, comunque ineludibile per chiunque: per quale Ideale vale la pena di spendere la vita, fino a rischiare di perderla? La democrazia può essere la risposta? Navalny, in apparente solitudine, ha risposto seriamente a tutte e due le domande. E io?

Gianmarco Benso



L’unico modo concreto per rispondere a questa domanda è aiutare l’esercito ucraino a fare quello che pochi eserciti europei avrebbero la forza di fare oggi: proteggere l’Europa da chi, violando i confini dell’Ucraina, vìola anche i confini dell’Europa, vìola anche i confini delle democrazie, vìola anche i confini della nostra libertà. E chi si preoccupa più di come si armano le democrazie rispetto a come si armano le autocrazie non sta scegliendo di stare dalla parte della pace: sta scegliendo di stare dalla parte di chi usa la forza senza dover fare i conti con l’opinione pubblica.


Al direttore – Il Foglio commenta la posizione del cancelliere Merz contrario all’assicurazione europea dei depositi che trova l’entusiastico accoglimento da parte delle minori banche tedesche. Non è un’opposizione nuova da parte della Germania che ha sempre sostenuto che l’introduzione dell’assicurazione comune è subordinata alla riduzione dei rischi e, in particolare, alla riduzione degli investimenti in titoli pubblici nazionali da parte delle banche o comunque a una diversa regolamentazione di tali investimenti. Ciò ha indotto in passato a sostenere, anche da parte dell’Italia, che è preferibile nessun accordo a un’intesa pesantemente negativa quale quella proposta. Il fatto è che l’Unione bancaria si fonda su tre pilastri – Vigilanza bancaria, Risoluzione e relativo fondo, Assicurazione dei depositi – mentre finora, a 11 anni dal varo di questa Unione, solo il primo pilastro risulta realizzato; nel contempo, concordemente si afferma che l’Unione bancaria è condizione dell’altra da realizzare, l’Unione dei mercati dei capitali. Allora che si fa? Si resta in mezzo al guado? Non si sviluppa né l’integrazione né il principio di sussidiarietà? Si torna indietro? E il “pacta sunt servanda” relativamente agli impegni dell’accordo intergovernativo di 11 anni fa?

Angelo De Mattia

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