“Ovvio che è un paese” Taiwan, dice il suo presidente

Il leader Lai Ching-te usa toni particolarmente duri contro la Cina nel suo tour di discorsi pubblici. Intanto si scopre che Pechino ha tentato di speronare la sua vice a Praga

Non serve farsi illusioni, aumentare le spese della Difesa è una questione di sicurezza nazionale: “Se Taiwan verrà annessa, la Cina non si fermerà, ma diventerà ancora più potente nell’espansione regionale”, ha detto ieri il presidente di Taiwan Lai Ching-te, nel quarto dei suoi dieci discorsi “sull’unità nazionale”. Qualche settimana fa la presidenza taiwanese ha lanciato una maratona di incontri in diverse città e province che dovrebbe servire a rilanciare il ruolo del Partito progressista democratico, di cui Lai è leader, e a promuovere la causa dell’unità nazionale di fronte a molteplici minacce.



Fra tutte la più importante è naturalmente quella che arriva dalla Repubblica popolare cinese. Nei primi tre discorsi, Lai ha usato alcune espressioni considerate inaccettabili dalla leadership di Pechino: la scorsa settimana, per esempio, Lai ha detto che il Partito comunista cinese non ha mai governato sull’isola, che le rivendicazioni cinesi non hanno fondamento storico e che con “un proprio governo, un proprio esercito e una propria politica estera, è ovvio che Taiwan sia un paese”. L’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di stato cinese ha definito il discorso un “manifesto per l’indipendenza di Taiwan”, accusando il presidente, come riportato dai media cinesi, “di alimentare lo scontro nello Stretto e di essere un miscuglio di retorica separatista fuorviante e profondamente sbagliata”. Ma Lai tira dritto. Ieri, nel suo quarto discorso, ha parlato di Difesa nazionale, delle spese per la difesa cinese che sono sette volte il budget di vent’anni fa, e della necessità che il Parlamento – lo Yuan legislativo la cui maggioranza attualmente è in mano al partito nazionalista Kuomintang, con posizioni più favorevoli al dialogo con Pechino – approvi alcuni investimenti come quello sulla produzione dei droni.



Di Lai Ching-te negli ultimi mesi si parla parecchio: 65 anni, presidente da poco più di un anno, non ha la stessa popolarità di chi l’ha preceduto, e cioè Tsai Ing-wen, la leader taiwanese che è riuscita a costruire quasi da zero l’identità taiwanese e oggi gira il mondo parlando di democrazia liberale e diritti (tanti sull’isola vorrebbero addirittura che si ricandidasse, fra tre anni, un’opzione possibile per chi ha già compiuto due mandati consecutivi). Per otto anni Tsai si è mossa su un equilibrio precario ma inscalfibile con Pechino, resistendo agli attacchi senza mai provocare crisi irreversibili, e anzi riuscendo a gestirle con efficacia, come quando il 2 agosto del 2022 la speaker del Congresso americano Nancy Pelosi visitò Taiwan in un affronto intollerabile per Pechino. Molti analisti anche a Taiwan, con l’Amministrazione americana sempre meno presente sulla scena dell’Indo-Pacifico, considerano Lai esageratamente falco. Ieri Lev Nachman della National Taiwan University di Taipei ha detto al New York Times che il presidente taiwanese sembra si stia concentrando sulla base dei suoi sostenitori: “Sta cercando di rafforzare il più possibile la sua base”, anche perché le politiche promesse sono bloccate in Parlamento dalle forze di opposizione. L’unica cosa che può fare, dunque, è pronunciare discorsi sull’identità nazionale, e cercare di spostare l’asticella linguistica dello status quo. Dall’altra parte, nel campo detto “blu” del Kuomintang (i progressisti democratici sono il campo “verde”) si parla invece sempre più spesso di federazione, di dialogo con Pechino, con l’ex presidente Ma Ying-jeou che giovedì scorso, durante una visita in Cina, ha dichiarato di sostenere “un’unificazione pacifica e democratica”, che rispetti la volontà dei taiwanesi: niente bombe, ma neanche forzature. E’ un’opzione che nel panico provocato da una possibile azione di forza da parte di Pechino potrebbe apparire preferibile a molti taiwanesi, che nel frattempo si stanno già preparando: da gennaio scorso è iniziato il servizio di leva obbligatorio di un anno, e tra il 15 e il 18 luglio prossimo si terranno le esercitazioni “antiaeree per la resilienza urbana”, che coinvolgeranno tutta la popolazione civile.



Il rafforzamento di Taiwan dal punto di vista della Difesa ma anche un più esplicito posizionamento dell’Amministrazione Lai sull’indipendenza de facto sta portando Pechino a utilizzare sempre di più tattiche ibride di intimidazione. Non solo con esercitazioni militari, pressioni economiche, ma anche nell’isolamento dei rappresentanti del suo governo. Nel marzo del 2024, l’attuale vicepresidente taiwanese Hsiao Bi-khim aveva visitato la Repubblica ceca: era la sua prima visita all’estero accompagnata dall’allora presidente-eletto Lai dopo la vittoria alle elezioni di gennaio. In settimana i servizi segreti di Praga hanno svelato che quello che sembrava soltanto un cittadino cinese fermato per essere passato in motocicletta con un semaforo rosso, era in realtà un funzionario dell’ambasciata della Repubblica popolare che sfrecciava per le vie della capitale ceca rincorrendo le auto di Hsiao. L’intelligence ha reso noto un piano cinese che mirava a rovinare la visita attaccando direttamente la vicepresidente di Taiwan attraverso probabilmente un incidente stradale, che “non è andato oltre la fase di preparazione”, ha dichiarato il direttore dei servizi cechi Petr Bartovský.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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