Per rinnovare la città bisogna puntare di più sull’education power

Idee per un nuovo modello Milano. La rettrice dell’Università Cattolica Elena Beccalli: “L’università è un asset strategico anche per sviluppo economico”

Un nuovo modello Milano è possibile? Il rettore dell’Università Cattolica, Elena Beccalli, ne ha in mente uno: “Milano ha bisogno di un modello alternativo economico e anche umano”. Lo ha detto durante il corposo forum sull’economia urbana e che si è svolto lunedì e martedì presso il Luiss Hub di porta Garibaldi su iniziativa del Comune. Un modello, ha speigato, “basato sul sistema universitario che è un asset strategico della città con otto atenei e 22 mila studenti. Al momento, la percentuale di stranieri è del 7-8 per cento: dobbiamo porci come obiettivo di arrivare al 20 per cento nei prossimi quattro o cinque anni intercettando anche gli studenti in fuga dalle università americane”. L’amministrazione di Beppe Sala pensa sia arrivato il tempo di una svolta, se ha promosso una sorta di stati generali sul futuro della città. Assente il sindaco, gli assessori al Patrimonio, Emmanuel Conte, che ha anche la delega alla Casa, e l’assessora allo Sviluppo economico, Alessia Cappello, si sono posti in fase di “ascolto” di proposte, idee e riflessioni provenienti da varie anime e parti sociali di Milano. “Del resto – ha detto Conte in un confronto con la stampa – alle elezioni comunali mancano ancora due anni e c’è tutto il tempo per provare a gettare le basi di un nuovo modello che, per esempio, provi a dare una risposta all’emergenza abitativa, tema comune a tutte le città europee. Invece, sui giornali si parla solo di chi sarà il nuovo sindaco di Milano mentre delle soluzioni ai problemi della città sembra non importare a nessuno”.

Difficile, comunque, ipotizzare un nuovo modello di sviluppo milanese quando ci sono vincoli economici come oggi li ha Palazzo Marino, dopo che mancano all’appello quasi 100 milioni di oneri di urbanizzazione a causa del blocco immobiliare. E, però, ci si può provare anche con l’obiettivo, spiega Conte, di lasciare un’eredità alla prossima giunta, perché Milano, ha detto Conte, ha sempre fatto così: “Chi guida la città non ha paura di lavorare per trasmettere cose positive a chi verrà dopo creando così un circolo virtuoso positivo”. E allora? Dopo gli anni di uno sviluppo urbano che oggi viene giudicato troppo esclusivo, ma che ha anche il merito di avere reso Milano città di livello europeo, attrattiva per i capitali, è il momento di pensare alle nuove generazioni. “Il sistema universitario di Milano ha un valore economico oltre che scientifico e culturale che si fonda sul potere dell’educazione che è una leva potente per lo sviluppo”, ha spiegato Beccalli, mettendo subito in conto che i nuovi modelli di città si devono misurare con il vincolo delle risorse a disposizione: “Questo approccio si rende ancora più indispensabile, come sottolineato da Edmund Phelps, Premio Nobel per l’economia 2006, in un periodo di rigore nelle finanze pubbliche quando la questione principale è come mobilitare i capitali necessari a sostenere un livello di investimenti capace di dare dinamismo all’intero sistema economico”. Ma l’education power, il potere dell’educazione, come lo chiama il Rettore della Cattolica, si deve integrare con istituzioni, associazioni e imprese in una logica di “alleanze strategiche” e di sinergie tra i vari attori.

Insomma, i conti devono quadrare, anche se prima di arrivare a questo bisogna chiarire gli obiettivi del cambio di passo. E allora, ecco il punto di partenza del suo ragionamento: “Milano ha un carattere internazionale che si riflette pienamente nel suo sistema universitario con 17 mila studenti provenienti da altri paesi. Per questo ha le potenzialità per bloccare la fuga di cervelli dal nostro paese”. A trainare tale fuga (il “brain drain”), come di recente documentato da Assolombarda in un’indagine su giovani e lavoro, è l’insoddisfazione verso “il sistema Italia” nella ricerca di un lavoro adeguato e corrispondente alle proprie competenze. Il “brain drain” è costato all’Italia circa 134 miliardi e sono stati circa 550 mila i giovani espatriati tra il 2011 e il 2024, secondo uno studio della Fondazione Nord Est. “Ciò che manca – dice Beccalli – è la brain circulation: per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Dobbiamo invertire la tendenza. In Cattolica ci siamo riusciti: su 3.000 nostri studenti che vanno all’estero 2.000 vengono da altri paesi a studiare nella nostra università. In questo modo facciamo circolare il capitale umano”. Ma come si fa ad aumentare la percentuale di stranieri dall’8 al 20 per cento, come auspica Beccalli, se uno dei problemi principali di Milano è la scarsa dotazione di posti letto per studenti? “Dobbiamo investire nel sistema universitario partendo dalle infrastrutture – dice – Per conservare la sua attrattività e il primato di città accogliente, Milano dovrà affrontare con decisione il tema degli studentati e della residenzialità, inclusa quella per i giovani al primo impiego, provenienti dal resto d’Italia o dall’estero”. In effetti, l’esperienza della Cattolica che ha trasformato l’ex Caserma Garibaldi in un campus è un esempio di collaborazione pubblico-privato che funziona. Può essere replicata?

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