Lo sci abruzzese, regale e selettivo, se la caverà anche di fronte a un po’ di cartacce

Qui venivano a sciare i Savoia negli anni Venti e Trenta. Lo sci abruzzese è roba per appassionati e fa appello alla signorilità richiesta a chi ancora cerca nello sport un sostituto di altre durezze cui dalla vita è stato risparmiato

Pare che il sindaco di Roccaraso, come facevano i governatori della Banca d’Italia, abbia avuto un certo successo con la sua moral suasion stradale e che il numero di pullman in partenza da Napoli spronati dalla nota Tiktoker lo scorso fine settimana sia stato contenuto sulla sessantina. Con l’effetto di rendere minoranza i visitatori giornalieri non abitudinari della montagna, forse un po’ rumorosi e consumatori di cibi fuori contesto e grassi (ma nei rifugi quando mai si è mangiato di magro?) e di farne quasi, rovesciando la logica dell’overtourism, a loro volta l’oggetto di osservazione occasionale, di piccola antropologia e quindi di gita ad hoc (“per uno studio dei gruppi di fagottari alla base delle piste da sci”). Ma forse ad agire non è stata solo la dissuasione municipale e molto lo dobbiamo anche alla naturale capacità di allontanamento da sé propria delle montagne. Quelle abruzzesi per secoli hanno funzionato come luoghi “lontani ma non troppo”, collegati alle città ma capaci di sviluppo autonomo e ben circondate da un’aria di fiera indipendenza.



Dalle montagne abruzzesi, prendendo in contropiede storico Alain Elkann, arrivarono migliaia di soldati mercenari caldoreschi (dal nome del castello e della famiglia/clan dei Caldora), per combattere le varie guerricciole con cui ci si contendeva tra potenze locali ed europee il controllo di Napoli e del suo regno, e un po’ di pressione militare erano in grado di esercitarla anche su Roma, già da molto prima che arrivassero, appunto, i lanzichenecchi doc. C’è stata da quelle parti anche l’epopea della ricchezza dovuta alle pecore, che lascia palazzi e palazzetti blasonati, chiese ben misurate e l’architettura elegante di paesi come Pescocostanzo e Rivisondoli. Sarebbe così anche Roccaraso se non fosse stata bombardata durante la guerra perché, per doppia sfortuna, ci si era installato un importante comando tedesco, sciagura da cui il paese che domina l’altopiano delle Cinque miglia è riemersa negli anni Cinquanta ripartendo con edifici dallo stile eclettico/montanaro non brutti ma certamente meno caratterizzati rispetto a quelli dei due altri paesi dell’altopiano o della vicina, splendida, Sulmona, già ricca nel 1400.


Benedetto Croce era fiero della sua ascendenza materna dai Sipari, nobili proprietari terrieri di Pescasseroli, il cui palazzo domina la piazza centrale del paese, ma abitava felicemente a Napoli. Una prossima missione via pullman, immaginiamo grandi numeri, tutto sta a trovare le parole e il o la Tiktoker giusti, potrebbe raggiungere proprio Palazzo Sipari, trasformato in museo e visitabile. Nulla va escluso, il gitante occasionale con pranzo al seguito, trainato dalle star dei social, può tutto. Tanto la montagna, si diceva, si incarica da sola di respingere. Lo sci seleziona non tanto sui costi, che con qualche mossa accorta (abbonamenti, convenzioni, iscrizione a sci club) possono essere contenuti e resi alla portata di molti, ma sulla sua naturale difficoltà e durezza. Lo sci abruzzese, poi, è ancora più selettivo. Duro per le condizioni metereologiche e per la loro mutevolezza, con le piste molto più spesso ghiacciate rispetto a quelle alpine e più corte e più strette, meno panoramico e meno turistico dello sci dolomitico. E’ roba per appassionati e fa appello alla signorilità richiesta a chi ancora cerca nello sport un sostituto di altre durezze cui dalla vita è stato risparmiato. Un po’ come nell’espressione che vuole il rugby uno sport bestiale giocato però da gentiluomini.



A Roccaraso, o meglio sull’Aremogna, come anche a Ovindoli, sull’altro Altopiano, quello delle Rocche, andavano a sciare i Savoia negli anni Venti e Trenta. Ottenendo quella saldatura tra famiglia reale e popolo, con cui il potere storico ha sempre cercato di saltare borghesi e aristocratici, facendone un grande calderone fastidioso di scocciatori che vorrebbero mettere la storia in movimento. E che volete ora se qualche decennio dopo un po’ di campani, forse napoletani periferici e forse no, si spingono sulle tracce di quelle gite regali.



Nei vari canaloni che scendono dall’Aremogna, e raggiungono anche la zona di Pescasseroli, scia, salendo con gli impianti e fuggendo poi fuoripista, un manipolo di romani chic, piccola enclave non napoletana basata nella località di Rocca Pia. Hanno anche un testo di riferimento, “Polvere di Mare”, che è una guida ai fuoripista facile e sicuri della zona e rende omaggio alla neve polverosa, cioè la migliore, che Roccaraso sfoggia quando arrivano le cariche perturbazioni atlantiche. Ma lo sciatore napoletano (e anche quello romano) è un super sportivo, che ha fatto una scelta d’elezione. Lo sciatore milanese o torinese sembra che stia ottemperando a un dovere, non ci mette entusiasmo. Il napoletano è un entusiasta e, in media, ha una buona tecnica. Proprio perché nessuno lo obbliga. Affronta la fatica, il freddo, la statale, i tir che si mettono di traverso e le macchine di quelli che “tanto a che servono le gomme invernali” e una quota inevitabile di sciatori improvvisati abbastanza pericolosi (ma sulle Alpi hanno i turisti da Est tendenti alla sciata alticcia e non c’è da invidiarli). Sapranno come cavarsela anche di fronte ai gitanti del pullman e a un po’ di cartacce.

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