Battaglie riformiste regalate alla destra, improbabili strategie elettorali, la leadership di Elly Schlein sotto assedio. A un’opposizione che cerca alternative a sé stessa basterebbe pensare un po’ meno alle coalizioni e un po’ più a come governare il paese
La novità politica più interessante delle ultime settimane si è andata a manifestare nel mondo della così detta alternativa e la novità è che l’alternativa, nonostante descriva ogni giorno un centrodestra diviso e sull’orlo del collasso, sembra essere ormai da tempo alla disperata ricerca di un’alternativa a sé stessa. La novità politica più interessante delle ultime settimane si è andata a manifestare attorno alle parole rilasciate qualche giorno fa a Repubblica da Dario Franceschini, ex leader del Pd, e le tesi di Franceschini hanno fatto discutere per molte ragioni. Alcune ragioni sono esplicite e riguardano la natura della proposta lanciata da Franceschini. Ecco la frase che ha fatto discutere: “Serve realismo. I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. E’ inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà, da quella fusione è già nato il Pd. E nemmeno l’Unione del secondo Prodi, con le sue 300 pagine di programma assemblato a tavolino prima delle elezioni.
I partiti di opposizione vadano al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale. E’ sufficiente stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere le destre”. Abbiamo fatto umilmente notare a Franceschini che la proposta tecnicamente non ha alcun senso perché l’attuale legge elettorale – le cui probabilità di essere cambiata sono pari alle probabilità che Simone Inzaghi rinunci al suo 3-5-2, che Antonio Conte rinunci al suo Lukaku, che l’Anm trovi una riforma della giustizia contro la quale non protestare – non consente di costruire accordi tra i collegi uninominali senza costruire accordi nazionali. E l’idea dunque che vi possa essere una corsa proporzionale in un sistema che di fatto non lo consente rientra all’interno della logica del Pig, nel senso del prendere in giro, ovviamente gli elettori. Franceschini dice che in verità si può fare ugualmente e che è sufficiente fare un accordo per trovare candidati comuni negli uninominali e che poi la campagna si fa tutta sul proporzionale, dei singoli partiti, senza simbolo comune, comizi comuni, candidato premier comune. E qui però arriviamo al vero punto che non è tecnico ma è politico e riguarda i due diretti interessati della proposta di Franceschini.
Da un lato vi è Elly Schlein, su cui Franceschini ha puntato alle primarie, dall’altro vi è Forza Italia, il partito che è il vero destinatario delle romantiche attenzioni del corpaccione del Pd. Secondo Franceschini, il Pd dovrebbe considerare dopo le elezioni quale coalizione costruirsi. E questa idea, che per i non addetti ai lavori non vuol dire niente, significa invece molto negli equilibri del centrosinistra: colpiamo uniti nei collegi uninominali, fingendo di non essere alleati, ma per governare al prossimo giro occorre trovare un modo per strappare l’unico centro che c’è, ovvero Forza Italia, al centrodestra. I segnali che Forza Italia, o almeno i suoi primi sostenitori, ovvero i suoi finanziatori, ovvero gli eredi del Cav., non siano in sintonia perfetta con il partito di Giorgia Meloni e, soprattutto, con quello di Matteo Salvini, sono molti. Ma da qui a considerare possibile la creazione di una nuova legge elettorale (ok boomer) o la scomposizione delle coalizioni ce ne passa (ad aver detto esplicitamente quello che Franceschini ha solo inteso è stato Ernesto Maria Ruffini, qualche giorno fa, quando rievocando David Sassoli ha tirato in ballo la maggioranza Ursula, tanto amata dall’ex presidente del Parlamento europeo, “e se ci fosse ancora lui ci farebbe riflettere di come quella maggioranza potrebbe diventare una scelta solida per essere alternativi alla destra”, perché “alla destra dobbiamo essere alternativi con una scelta politica chiara e condivisa, senza essere nemici della destra”, ha detto l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate).
E dunque ecco il secondo punto: chi era il vero obiettivo di Franceschini? Nel momento in cui si indica un contesto all’interno del quale le coalizioni non si decidono più prima, si discute tutto dopo, anche il leader vero non si decide prima e le elezioni dunque non possono essere considerate come delle primarie utili a scegliere l’eventuale premier come succede a destra (il partito che prende più voti nella coalizione esprime il candidato premier). In questo senso, non c’è dubbio sul fatto che il vero bersaglio di Franceschini e di chi sostiene la sua teoria fosse Elly Schlein. D’altronde, a proposito di ricerca di alternative all’alternativa, l’impressione che il Pd stia cercando di studiare alternative è confermato da un fatto curioso: l’unico ex premier che ha indossato la casacca del Pd a essere vicino a Schlein oggi è il più odiato tra gli ex premier a sinistra ed è Matteo Renzi (vedremo per quanto). Tutti gli altri, per ragioni diverse, non sopportano più Elly.
Paolo Gentiloni, possibile federatore, vorrebbe un salto di qualità che non c’è, su sicurezza, immigrazione, crescita, Europa, Ucraina. Enrico Letta, predecessore di Schlein, considera imbarazzante la posizione del Pd in politica estera. Romano Prodi, a cui Schlein era legata, considera la leader del Pd un mezzo disastro. Ed è anche per questo che l’ex premier ha iniziato una sua campagna di mobilitazione in giro per l’Italia, all’insegna del serve una coalizione prima delle elezioni, per aggregare, serve un nuovo Ulivo, con il sottinteso che debba essere qualcun altro a guidarlo. L’assedio a Elly è iniziato. Il Pd cerca un’alternativa a sé stesso, per evitare di non essere un’alternativa.
Ma il dubbio resta. Per il Pd, uscire dalla fase Pig è davvero possibile? E poi: esiste un’alternativa alla non presa per i fondelli degli elettori per costruire un’alternativa alla destra di governo? Marciare divisi per colpire uniti potrebbe essere una strategia per restare a galla. Ma marciare divisi, fingendo di colpire disuniti, è un’idea incompatibile non solo con l’attuale legge elettorale ma anche con quella che dovrebbe essere l’essenza della politica quando si prova a costruire un’alternativa: provare a costruire un’opposizione in grado di non regalare ogni battaglia riformista alla destra, in grado di non rinnegare ogni grande riforma del passato, in grado di uscire fuori dalla comfort zone dell’antifascismo, in grado di occuparsi dei fascismi del presente oltre che di quelli del passato, in grado di pensare un po’ meno all’algebra e un po’ più al paese. Il complotto della magistratura per far diventare meloniani anche i non meloniani dovrebbe suggerire al centrosinistra una strategia per uscire dalla fase Pig e provare a parlare un po’ meno di come far funzionare la coalizione e un po’ più di come provare un domani a far funzionare il paese che si proverà a governare.