Il lato amaramente buffo dell’essere “mezza iraniana”, il monologo sull’aborto criticato sui social e le apparizioni a “Comedy central” e “Propaganda live”
Roma. Da Casalotti, periferia nordovest di Roma, alla stand-up comedy in un piccolo locale off del Pigneto, passando per una doppia laurea in Relazioni internazionali alla Sapienza, per una pandemia divisa in due diversi lockdown (non provvidenziali per la ricerca del primo impiego), per due social network, varie apparizioni in tv (in “Comedy central” su Sky e Now e in “Propaganda live” su La7) e per l’esperienza di un lavoro vero che, via via, si rivela “mezzo inesistente” e talmente precario da riuscire per magia, nel vuoto, quasi per sottrazione, a generarne un altro, sempre precario ma a suo modo verissimo: e insomma, quando si racconta, Monir Ghassem, trent’anni, giovane comica emergente che ancora per poco, dice, avrà “un lavoro vero”, oltre all’occupazione non più secondaria di scrivere monologhi (pur non avendo mai avuto la vocazione comica nella prima gioventù), è come se mettesse gli ingredienti in un frullatore, uno a uno, casualmente e volutamente. Ne esce un composto irresistibile di ironia – la virtù che, in un giorno disperato da disoccupazione incipiente, una psicanalista le aveva buttato lì sul piatto come chiave per incanalare l’energia e la frustrazione che sgorgavano dalle sue parole. Detto e fatto: Monir, dice al Foglio, si è iscritta quasi per caso a un corso di scrittura comica, e non ha più smesso di scrivere, anche se mai avrebbe immaginato di poter fare quello che sta facendo oggi sempre più spesso, con i suoi discorsi irriverenti e politicamente sospesi tra scorrettezza e levità. Temi: la vita ai tempi delle prime decisioni importanti, tra momenti tragici che si fanno surreali (come il monologo molto cliccato sull’interruzione di gravidanza) e attimi di incredibile costernazione al momento di calarsi nei panni di colei che è “mezza iraniana”. Perché sì, Monir è figlia di un rifugiato politico iraniano che però è a Roma da cinquant’anni, e le domande che le vengono rivolte in proposito sono spesso, da sole, materia per serate di (amara) comicità stand-up, come pure lo sono i patemi delle ex colleghe fissate con l’aperitivo e il sesso estremo a 65 anni o le manie di un datore di lavoro cui manca l’altezza fisica e morale o la sequela di orrori che si frappongono tra il giorno della laurea e quello dei colloqui on line, nella landa desolata che è il passaggio alla vita adulta dei Millenial: generazione, dice Monir, già di per sé “sfigata”, anche se pure quella precedente, la generazione X, non scherza (“poveri quaranta-cinquantenni, che si erano illusi di avere delle certezze”, dice).
Il suo viaggio parallelo da stand-up comedian inizia nel 2021, dopo gli stage seguiti alla “triste laurea” in “scienze della pace”, racconta Monir, a cavallo del Covid, in un momento in cui gli studi in Relazioni internazionali si rivelavano quasi inservibili, visto l’anatema anti-pandemico sugli spostamenti. Che fare? “Lavorare in una ong per due lire? Lavorare per una multinazionale che magari paga tanto ma non ti si fila?”. Dubbi amletici, ed è allora che Monir decide davvero di provare a impegnarsi nel suddetto corso di scrittura comica dell’Associazione culturale Due gatti, (ma all’inizio si rifiutava anche con se stessa di esibirsi, dice). Dai, puoi farcela, la rassicuravano gli amici prima del debutto su un palco off a San Lorenzo e poi al Pigneto. La scelta dei temi, sorride Monir, può nascere da “disperazione”, “esperienze personali”, “prodotti televisivi italiani e non”, “trasporti romani da incubo” (l’Atac è la sua bestia nera – protagonista, assieme ai taxi, di post serializzati). Sui social Monir non si sente meno libera di esprimersi, anche se qualche commento d’odio su Facebook le è arrivato, specie a proposito del monologo sull’aborto. Non si prende troppo sul serio, Ghassem, quando si esibisce nella “dimensione di realtà sospesa” di una comicità fatta di corpo e ritmo oltre che di parole, anche se sta riflettendo seriamente “su un argomento delicato” che vorrebbe trattare in un prossimo monologo: la malattia, vista da vicino e per interposta persona. Da affrontare con discorso libero, libero perché non teme di affrontare l’impopolarità di un punto di vista.