Broken Mirror, la Corea del nord come non l’avete mai vista. Una mostra a Roma

Le fotografie in bianco e nero di Filippo Venturi filtrate dal software Midjourney, un laboratorio di ricerca e di sperimentazione basato su intelligenza artificiale. Creazioni bio-meccaniche stordenti

Non c’è più molto tempo, quindi andiamo subito al sodo; la mostra “Broken Mirror, al Centro Sperimentale di Fotografia Adams, a Roma, chiude il 12 febbraio, quindi fatevi davvero un favore e andateci. In queste fotografie bianco/nero di Filippo Venturi si snuda un lungo percorso di esplorazione della Corea, tanto del sud quanto del nord, anche se qui ci si concentra, per ovvie ragioni, sul nord, filtrata tutta, nella sua stordente, caotica complessità, attraverso la sensibilità precisa e puntuta di Venturi. Mediata, filtrata, però, da un ulteriore elemento che il fotografo ha voluto integrare nelle sue creazioni: il software Midjourney, ovvero un laboratorio di ricerca e di sperimentazione basato su intelligenza artificiale che ha una caratteristica molto intrigante, ovvero l’impossibilità di un pieno controllo sulla risultante. E’ cioè l’intelligenza artificiale in certa misura a decidere una parte del risultato finale, inserendo la propria sensibilità algoritmica nel tessuto delle foto scattate dall’umano. E se la Corea, tra uno Squid Game e soprattutto la geometrica e impermeabile consistenza del regime del nord, già si presta di suo alla visione distopica o cyberpunk, in queste foto si assemblano scenari antropologici che pescano a piene mani tra la cinematografia di Cronenberg, la sinuosa nudità cibernetica del Neuromante di William Gibson, la desolazione cosmica di visioni alla Lovecraft e alla Ligotti dove Cthulhu è sostituito da bizzarre creature tentacolari però kawaii, e da altre figure da manga che sembrano però evocate da Kafka. Scarafaggi, civette, falene, tutti con contorni fumettistici e fisionomia panciuta e carina, per quanto perturbante. Grigiori post-industriali, caserme, ambienti domiciliari, soldati con carapace in spalla, tetraggini rugginose, specchi spezzati attraverso cui ci si rimira trasformati in coleotteri urticanti, paesaggi da inverno algoritmico con venti post-nucleari che sprizzano cenere su corpi femminili affacciati su giardini morti e su geometrie di cemento spartano.

L’effetto complessivo è straniante, perché percepiamo da un lato la finzione elettronica di quelle creature, di quegli insetti stilizzati, ma sappiamo, al tempo stesso, che la finzione è il sogno dell’intelligenza artificiale, la sua visione, il suo sguardo, emerso dall’abisso delle interconnessioni testuali e dalle connessioni mitografiche, in un intreccio labirintico di sensazioni che si plasmano nella retina del fotografo e nell’occhio della sua fotocamera che, al contrario, hanno immortalato la realtà. Sono creazioni bio-meccaniche, stordenti, in cui marzialità e tristezza e solitudine urbana si fondono con la scoperta di spazi che pur inesistenti giungono a consistere di una loro realtà, e di una umanità post-umana. Lo sguardo dell’insetto, la sua viseità, come direbbero Deleuze e Guattari, è al tempo stesso strumento di compenetrazione tra tecnologia e natura e umanità, o ciò che di questa rimane, e trasformazione del reale, panopticon digitale costruito dall’intelligenza artificiale, metafora perfezionata della cultura della sorveglianza, se questa l’avesse ideata e pensata Kafka piuttosto che David Lyon, cosa che in effetti non è poi così peregrina.

La Corea del Nord, così nebbiosa, così algida e grigia, così isolata, non solo dal mondo ma proprio dalla corporeità sanguigna del gesto artistico, rifluisce a spazio di un laboratorio sperimentale che sostituisce Jeff Goldblum, quello de La mosca, con i militi dell’esercito nord-coreano. È il deserto del reale, ma senza più Baudrillard, ingoiato dal baratro Juche. Una traversata tra forme e presenze fantasmatiche, con al centro, non meri orpelli ma sostanza, insetti cibernetici. D’altronde, gli insetti tanto hanno affascinato scrittori dell’orrore e della fantascienza, dal G. R. R. Martin di “Sandkings” a Ursula LeGuin fino al Bruce Sterling di “Luciferase”. Nella mostra, proprio come questi scrittori, potrete specchiarvi nell’incubo di uno orizzonte cyber-entomologico.

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