Arnault minaccia la Francia delle tasse di delocalizzare nella terra di Trump

Il padrone di Lvmh e l’affinità con il presidente americano, la loro lunga conoscenza che risale agli anni Ottanta quando entrambi erano attivi nel settore immobiliare. L’indignazione della gauche e le accuse di “patriottismo di cartapesta” e di essere “senza vergogna” da parte di comunisti e verdi

Lvmh non è soltanto il più grande gruppo del lusso del mondo, è anche uno stato nello stato in Francia. E quando il patron, Bernard Arnault, si esprime come si è espresso pochi giorni fa, è tutto il mondo imprenditoriale, economico e finanziario francese a essere in fibrillazione, ma lo è anche il governo. Martedì, durante la presentazione dei risultati di Lvmh per l’anno 2024 (utili in flessione del 17 per cento, pari a 12,55 miliardi di euro, e un calo del 2 per cento del fatturato annuo, che si attesta a 84,7 miliardi di euro), Arnault ha attaccato la superaliquota del 41,5 per cento per le imprese con un fatturato superiore ai tre miliardi di euro prevista dalla Finanziaria 2025, elogiando al contempo le misure pro business della nuova Amministrazione americana. “Rientro dagli Stati Uniti dove ho potuto constatare il vento di ottimismo che soffia in quel paese. Quando si torna in Francia, è un po’ una doccia fredda”, ha esordito Arnault, presente a Washington alla cerimonia di investitura di Donald Trump assieme ai figli Délphine, ceo di Dior, e Alexandre, ex vicepresidente di Tiffany, che dal 1° febbraio sarà vicedirettore generale della divisione Wine & Spirits di Lvmh. “Negli Stati Uniti le tasse scenderanno al 15 per cento, in diversi stati gli stabilimenti sono sovvenzionati e il presidente incoraggia questa politica”, ha proseguito il capo di Lvmh. In Francia, invece, “ci si appresta ad aumentare del 40 per cento le tasse sulle aziende che producono in Francia. E’ incredibile”, ha sottolineato Arnault, prima di pronunciare parole che suonano come un avvertimento: “Se l’obiettivo è incentivare la delocalizzazione, è una mossa ideale! E’ una tassa sul made in France”.


Le sue dichiarazioni su un possibile rafforzamento della presenza di Lvmh negli Stati Uniti a detrimento della Francia hanno suscitato l’indignazione della gauche, che lo ha accusato di “patriottismo di cartapesta” (Fabien Roussel, leader dei comunisti) e di essere “senza vergogna” (Marine Tondelier, segretaria nazionale dei Verdi). Patrick Martin, patron del Medef, la Confindustria francese, ha detto invece che Arnault “ha ragione” a denunciare la superaliquota, che potrebbe spingere altri grandi imprenditori a guardare altrove, mentre l’esecutivo cerca di metterla su piano della solidarietà nazionale: tutti, alla luce della precarietà finanziaria della Francia, devono fare uno sforzo temporaneo. “Capisco la sua rabbia”, ha detto Sophie Primas, portavoce del governo, sottolineando però che “nella situazione di bilancio in cui ci troviamo, tutti devono condividere lo sforzo (…). E’ un brutto periodo, ma è temporaneo”.



Arnault ha rivelato di aver avanzato altre proposte al governo per rinunciare alla maxi gabella, ma sono state bloccate dalla burocrazia. “Ecco perché dovremmo fare come gli Stati Uniti e nominare qualcuno che tagli un po’ la burocrazia”, ha affermato il magnate, riferendosi all’incarico affidato da Trump al patron di X, Elon Musk. E i dazi americani? “Preferisco non esprimermi e cercare di agire con discrezione”, ha risposto Arnault. Quest’ultimo e Donald Trump si conoscono dagli anni Ottanta. Entrambi, all’epoca, erano attivi nel settore immobiliare. Arnault lasciò Parigi per gli Stati Uniti, preoccupato dal primo governo socialista di François Mitterrand, che stava nazionalizzando tutto ciò che era possibile nazionalizzare, con ministri di orientamento comunista in posizioni chiave. Il contesto di “caccia al ricco” dell’epoca mitterrandiana lo convinse che fosse meglio cambiare aria. “Sono sempre stato vicino agli Stati Uniti, che vedo come una terra di opportunità”, disse Bernard Arnault nel 2019, quando andò in Texas, ad Alvarado, per inaugurare una maxi fabbrica di Louis Vuitton. “Sei un artista e un visionario”, rispose l’allora inquilino della Casa Bianca. Uno scambio di carinerie tra due squali del mondo degli affari che si stimano e si apprezzano. Dopo la fabbrica di Alvarado, Arnault ha affermato che potrebbero esserci altre aperture: “Le autorità statunitensi ci stanno esortando con forza a continuare ad aprire fabbriche lì e devo dire che, nell’attuale contesto, è una cosa che stiamo seriamente prendendo in considerazione”.

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