Una biografia di Barthes, per raffigurare “le difficoltà e i folli desideri del mondo”

Una “bussola” per potersi orientare al meglio all’interno del vasto e complesso mondo del grande intellettuale francese. La ricerca di Guido Mattia Gallerani

Con un tono divulgativo e mai troppo accademico, la nuova biografia intellettuale dedicata a Roland Barthes (“Roland Barthes. Dalla vita al testo”, Carocci) rappresenta una “bussola” per potersi orientare al meglio all’interno del vasto e complesso mondo del grande critico francese. La scrive Guido Mattia Gallerani – ricercatore in Letterature comparate presso l’Università di Bologna – che traccia sin dall’inizio le coordinate della sua ricerca, sottolineando come la figura di Barthes sia difficilmente collocabile all’interno di un “campo d’azione” ben definito. “Barthes ha dimostrato come si possa spaziare attraverso metodi, teorie e linguaggi specialistici diversi senza mai perdere la propria originalità stilistica e intellettuale”, afferma infatti Gallerani nell’introduzione al libro, sottolineando la marcata interdisciplinarietà di cui il critico si fece promotore nella sua vasta produzione teorica, all’interno della quale peraltro il genere saggistico raggiunge i massimi livelli.

Diviso in cinque macro-capitoli che dialogano ognuno con un determinato momento della vita di Barthes, senza tralasciare dunque il contesto culturale dentro al quale le idee si sviluppano, il libro in questione diventa uno strumento molto importante per comprendere appieno gli snodi concettuali che fanno capo alla Weltanschauung dell’autore. A partire dagli anni giovanili in cui la fiamma del sogno borghese era ancora viva, fino agli anni 60-70 durante i quali la svolta semiologica e strutturalista prende piede all’interno della riflessione di questo importante maître à penser, Barthes non ha mai smesso di meditare sul ruolo dell’intellettuale nonché sulle istituzioni che lo circondano e che, talvolta, ne limitano il campo di intervento in maniera coercitiva. Pagine importanti Gallerani le dedica allora alla differenza sostanziale che intercorre tra Sartre e Barthes, e sul particolare ruolo che avrebbe dovuto rivestire l’intellettuale per quest’ultimo: egli “dev’essere un analista e insieme un utopista, raffigurare al tempo stesso le difficoltà e i folli desideri del mondo”, ecco la sua funzione secondo il critico francese, il quale prenderà un’altra direzione rispetto alla concezione sartriana teorizzata in “Che cos’è la letteratura?”, rigettando di conseguenza l’assioma che voleva la scrittura come una mera forma di engagement da parte dello scrittore che la compie.

Antistalinista e marxista sui generis, Barthes rifletterà più sulla forma che sul contenuto da veicolare attraverso il gesto dello scrivere, arrivando a discernere l’attività militante da quella più propriamente letteraria, come fece un tempo André Gide dal quale Barthes rimase affascinato in gioventù. Nel “Grado zero della scrittura”, saggio a tutt’oggi fondamentale per comprendere qualsiasi teoria critica, Barthes analizzerà allora, attraverso una disamina della storia della lingua e della forma impiegata da alcuni romanzieri francesi contemporanei, l’impegno di questi ultimi verso la loro società, e ciò malgrado l’evidente désengagement presente sulla pagina: ed è così facendo che il critico francese riuscirà a interpretare tutte “le valenze ideologiche di un’epoca”, che gli permetteranno di ristabilire una connessione assai più convincente tra lo scrittore e la realtà che lo circonda.

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