Secondo il rapporto dell’Associazione dei costruttori, la fine dei mega incentivi è stata in buona parte compensata dal Pnrr. Nel 2024 le costruzioni fanno -5,3% (secondo l’Istat +5,5%), aumentano occupati e ore lavorate. Ma cosa succederà dopo il 2026?
Male ma non malissimo. Comunque meglio del previsto. La fine del Superbonus non ha causato il tanto temuto tracollo del settore delle costruzioni, per lungo tempo evocato come ragione per prorogare le agevolazioni edilizie. Secondo il rapporto congiunturale dell’Ance, l’associazione dei costruttori, nel 2024 – primo anno post Superbonus – gli investimenti sono scesi del 5,3% in termini reali, mentre per il 2025 ci si attende un’ulteriore riduzione del 7%. Dietro questo calo, si incrociano due trend opposti. Da un lato, gli investimenti in abitazioni hanno lasciato sul terreno il 19,8%, soprattutto per il -22 % delle riqualificazioni (fine del Superbonus, appunto). Dall’altro lato, questa drastica riduzione è compensata da un debole incremento (+0,7%) delle costruzioni non residenziali e, soprattutto, da un boom (+21%) degli investimenti pubblici (cioè il Pnrr).
Le medesime tendenze dovrebbero proseguire nel 2025. Questi dati, prima di essere commentati, vanno interpretati. La riduzione degli interventi sulle abitazioni private era più che prevedibile, visto che la generosità degli incentivi post Covid ha spinto sia a effettuare lavori che non sarebbero stati fatti sia ad anticiparne altri che sarebbero stati comunque effettuati in seguito. La crescente domanda del comparto privato ha indotto molte imprese edili, normalmente specializzate nelle opere pubbliche, a soddisfare questa richiesta improvvisa e ad alta marginalità (un incentivo del 110% toglie qualsiasi interesse a contrattare il prezzo). Dopo l’avvio del Pnrr e la fine dei bonus, l’offerta si è riposizionata: quelle stesse imprese sono tornate al loro core business.
Se dunque questa ricostruzione appare verosimile, c’è un piccolo giallo: mentre infatti l’analisi dell’Ance sull’andamento degli investimenti segue la dinamica descritta, le elaborazioni dell’Istat raccontano tutta un’altra storia. Secondo l’Istituto di statistica – che per le sue analisi si basa sulle comunicazioni delle casse edili – nel 2024 la produzione del settore delle costruzioni è addirittura cresciuta del 5,5%, così come l’occupazione (anch’essa +5,5%) e le ore lavorate (+4,2%). Come si spiega questo disallineamento nei dati? Sebbene l’Istat guardi a un aggregato più ampio rispetto all’Ance (in quanto la produzione contiene anche le manutenzioni ordinarie, che non sono classificate come investimenti), normalmente i due indicatori si muovono assieme. È possibile che, in questo caso, i dati dell’Istat non catturino pienamente le dinamiche del settore, caratterizzato da una forte presenza di piccole e micro-imprese (il 61,8% ha un solo addetto e un altro 33,2% ne ha meno di dieci). Queste ultime non sempre applicano il contratto degli edili ed è lì che si annida più frequentemente il nero. Poiché le imprese di maggiori dimensioni sono prevalenti nei lavori pubblici, la crescita di questi ultimi trainata dal Pnrr ha fatto emergere un aumento occupazionale non compensato dalla diminuzione nelle piccole imprese edili, che non necessariamente l’Istat riesce a catturare. Lo conferma il fatto che l’anno scorso si verificò un disallineamento simmetrico, poi oggetto di una revisione dei conti economici nazionali, in quel caso dovuto alla sottovalutazione degli addetti nelle piccole e microimprese, attirate dai bonus edilizi.
Sia come sia, anche prendendo con cautela i dati in crescita dell’Istat e con attenzione quelli in contrazione dell’Ance, è positivo che il settore stia uscendo tutto sommato indenne dal “boom and bust” del Superbonus: il punto di partenza, cioè i livelli di produzione e investimenti raggiunti nel 2023, coincideva infatti con un record storico. Assumendo che la dinamica nel 2025 sarà quella attesa dall’Ance, il comparto chiuderà l’anno con un volume di investimenti superiore a quello degli ultimi quindici anni (con l’esclusione, appunto, del 2022-23 dopato dai bonus). Non c’è stato quindi, come si paventava, un collasso del settore con fallimenti diffusi ed esplosione della bolla occupazionale. Superato l’iceberg Superbonus, la preoccupazione ora riguarda il futuro non immediato ma prossimo: cosa succederà dopo il 2026, quando si concluderà anche il ciclo di investimenti del Pnrr?
La domanda è legittima, così come è fondato l’allarme lanciato dall’Ance sull’emergenza abitativa, che vede i prezzi degli immobili schizzare a livelli senza precedenti in molte aree urbane. A ciò si aggiunge la spada di Damocle della direttiva europea sulle “case green”, che impone di migliorare le prestazioni energetiche degli edifici ma lascia il nostro paese spiazzato dall’impossibilità di erogare ulteriori finanziamenti pubblici, vista la situazione precaria causata dai 220 miliardi di euro di spese – impreviste per circa i due terzi del totale – per i bonus edilizi degli scorsi anni. Diventa quindi necessario trovare una terza via tra l’indisponibilità di contributi pubblici – segnata dalla riduzione delle aliquote dell’ecobonus – e lo sperpero degli anni passati.
Un possibile modello di intervento viene da una misura, approvata con l’ultima legge di Bilancio, che era stata proposta dal Commissario europeo Raffaele Fitto: l’allora ministro degli Affari europei aveva stanziato circa 1,4 miliardi di euro dei fondi del capitolo RepowerEu per la riqualificazione degli alloggi popolari, seguendo una logica analoga a quella del Piano Fanfani nel Dopoguerra. In pratica, lo stato finanzia a fondo perduto il 65% per le famiglie bisognose, mentre spetta agli Iacp e ai privati – anche attraverso il coinvolgimento di intermediari ed Esco, che anticipano le risorse per gli interventi sull’efficienza energetica in cambio di una fetta del risparmio futuro – provvedere al restante terzo.
Insomma: il settore delle costruzioni è caduto in piedi dalla sbornia del Superbonus ma ha davanti anni difficili. La politica ha una grande responsabilità nel disegnare misure razionali e sostenibili per l’efficienza energetica e per il rinnovo dello stock edilizio abitativo e del patrimonio pubblico. La cosa positiva della stagione dei bonus al 110 per cento è che abbiamo imparato, purtroppo a caro prezzo, cosa non si deve fare. Forse.