Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Dieci anni con Cerasa sono stati meravigliosi. Il giornale è quello di prima, bel colpo, ma la trasformazione è completa, una rigenerazione, una rinascita. Ambizioso, intelligente, energico, sveglio, infaticabile, capace di riposarsi, sempre sul pezzo, talvolta fra i sauditi all’inseguimento dell’Inter, il nostro piccolo grande Sinner ha portato al giornale la meglio gioventù, un minuscolo esercito di leggenti, scriventi e veggenti, un’orgia di discutibile senso del futuro e di insensato ma formidabile ottimismo. Fu scelto quando aveva trentadue anni, senza tante storie e tante cerimonie, con un comunicato piccino picciò della immortale cooperativa di matti orgogliosa ma priva di eccessive vanterie per il proprio lavoro, per i lettori q.b., quanto basta, come il sale, per i quattrini dello stato, risorsa bene impiegata, per la pubblicità e l’aiuto di Silvio B., per la rete di establishment e il coro di stuporosa stima che ci ha sempre accompagnati, dal primo numero, quando domandai a Vichi Festa, scusa, ma che cosa stiamo facendo esattamente? e lui rispose analisi informate dei fatti. Poi il giornalino si riscaldò, divenne tribunizio, folleggiava e combatteva una quantità di battaglie perse, e quelle che vinceva, non erano poche, le dissipava con l’allegria dei naufragi. Sempre stato un rifugio, il Foglio, dove accorrevano per lavorarci e per leggerlo e scriverlo quelli che lo amavano, e come tutti i rifugi ebbe la sua felice diaspora, con tanta bella gente della compagnia finita un po’ dappertutto nei gangli del potere, del sottopotere e del contropotere culturale, giornalistico, letterario, politico. Che volete di più dalla vita? Da noi si era fatta la cuccia, o il culo al caldo, Stefano Di Michele, che rimpiangiamo con infinito amore, comunista gattaro e gattolico, come diceva lui. Da noi trovarono ospitalità Di Pietro e i suoi cari, la Fallaci, castigata ma sempre amica, e Ratzinger, quando la Sapienza non lo voleva, e ci fecero vendere uno sproposito di copie, ma erano delle una tantum, intendiamoci, perché numeri alti e affollamento di notizie inutili li abbiamo sempre considerati con un certo snobismo. Dieci anni dopo, rimasto in vita per tanti motivi, non ultimo quello delle sue telefonate, in cui lui mi suggerisce che cosa pensare e io gli ricordo che cosa avevo pensato, offro oggi un pranzo per Claudio da Checco, osteria di sogni e digestioni lente per un foglietto agile e benedetto. E questo è tutto.
Giuliano Ferrara
Sobrietà q.b, cuori infiniti e ottimismo più che mai irresponsabile: viva Giuliano, viva il Foglio.
Al direttore – Gentile procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, mi consenta di rivolgerle, da semplice cittadino digiuno di diritto, una domanda. Lei ha inviato un avviso di garanzia, per i reati di favoreggiamento e peculato concernenti il rimpatrio del militare libico Almasri, alla presidente del Consiglio, ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi nonché al sottosegretario Alfredo Mantovano. Può spiegare perché, quando ricopriva lo stesso incarico a Palermo, iscrisse nel registro degli indagati per sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio dopo la denuncia dei legali di “Open Arms”, solo Matteo Salvini (allora titolare del Viminale) e non Giuseppe Conte (allora presidente del Consiglio) e Danilo Toninelli (allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti)? Chi se ne intende mi dice che, di fronte alle accuse di un avvocato, è un atto dovuto indagare e trasmettere al Tribunale dei ministri il relativo fascicolo. Non so se è così. Ma se è così, qual è la ragione dei “due pesi e due misure”, ovvero del coinvolgimento, oltre al titolare della Giustizia, di Giorgia Meloni e di altri membri del governo? In attesa di una sua cortese risposta, che credo sia di interesse pubblico, le porgo distinti saluti.
Michele Magno
In magistratura, molto semplicemente, non c’è atto dovuto che non sia un atto voluto.
Al direttore – L’ennesima bufera, scatenata dalla vicenda del libico Almasri nei rapporti tra politica e magistratura, ha effetti devastanti non solo per l’area politica oggi al potere in Italia – la destra centro, per intenderci – e, naturalmente, per la stessa magistratura, bensì anche per il fronte diviso e debole dell’opposizione e della sinistra politiche. Dunque, concordo con Ella, stimato direttore, quando afferma che la vicenda Almasri spinge di nuovo la politica italiana nel suo insieme nel gorgo oscuro senza fondo della delegittimazione del primato della politica a causa dello strapotere di ordinamenti fuori controllo e debordanti i propri limiti, come gran parte della magistratura italiana, ahimè. Ma c’è un effetto devastante specifico anche per la sinistra di opposizione che, con la vicenda Almasri, vede improvvisamente annullare quel fecondo e serrato confronto-chiarimento politico-strategico, riaperto di recente dai convegni dei riformisti e dei cattolici a Orvieto (LibertàEguale) e a Milano (Comunità democratica), finalizzato a costruire una sinistra di governo e dare un profilo riformista forte al Pd, condizioni contestuali decisive per un centrosinistra credibile.
Alberto Bianchi