Il tentativo di conquista di Piazzetta Cuccia da parte di Mps (passando per Palazzo Chigi) viene vissuta a Milano con una logica di conquista e non di discreta penetrazione degli ambienti della finanza che contano dalla porta principale, come hanno sempre fatto i governi di centrosinistra
Forse ha ragione chi, come il sindaco Beppe Sala, dice che la vicenda Mps–Mediobanca si può leggere come Roma contro Milano. La conquista del potere finanziario può essere un obiettivo del governo Meloni, che finora si è caratterizzato per una certa freddezza di rapporti con il mondo bancario e con quella “community” che muove le leve degli investimenti privati. Il gran pasticcio della tassa sugli extraprofitti ne è la prova. Ma le cose cambiano in fretta e il tentativo di conquista di Piazzetta Cuccia da parte di Siena passando per Palazzo Chigi dimostra, invece, che questa destra ha voglia di entrare nei salotti che contano della finanza dalla porta principale.
Si vedrà come andrà a finire perché alla fine sull’offerta pubblica di scambio lanciata dal Monte su Mediobanca deciderà il mercato, che ragiona con la tasca e con i numeri. Interessante, infatti, sarà vedere che tipo di scelta farà la milanesissima Mediolanum, la banca privata della famiglia Doris e vicina a Forza Italia, che di Mediobanca è un azionista storico. Al di là di tutto, la mossa viene vissuta a Milano con una logica di conquista e non di discreta penetrazione degli ambienti che contano come, ad esempio, hanno sempre fatto i governi di centrosinistra, schierando, per fare un esempio, manager come Alessandro Profumo, che diversi incarichi ha ricoperto ai vertici di istituti di credito.
Ma in fondo anche pesi massimi del mondo bancario e finanziario come il bresciano Giovanni Bazoli e il comasco Giuseppe Guzzetti hanno sempre fatto riferimento a un’area cristiano democratica che ha influenzato le scelte dei governi di sinistra. E in tempi più recenti, l’economista romano Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia dei governi Renzi e Gentiloni, è salito alla presidenza di un altro gruppo molto solido a nord: Unicredit. Ma di esempi se ne potrebbero fare tanti, senza contare che l’egemonia politica del Pd sul Montepaschi è durata per decenni. Per paradosso, proprio il Monte ora diventa la banca di riferimento del governo di destra che non solo vuole creare il terzo polo del credito in Italia, progetto che considera di interesse per il paese, ma nel farlo prova a scardinare la roccaforte di potere finanziario laico come Mediobanca.
Neanche la sinistra ci aveva mai provato, trovandosi più a suo agio nell’universo della finanza cattolica, da sempre più dialogante con la politica. Va detto che la scalata a Piazzetta Cuccia ha sorpreso in molti visto che fino a oggi la presenza del governo Meloni a Milano si è sentita ben poco. Gli unici esponenti della maggioranza che in questi anni hanno dialogato con la capitale italiana della finanza, che dopo la Brexit sempre governi di sinistra hanno tentato di lanciare come la nuova “City” europea senza riuscirci, sono il sottosegretario al Mef, Federico Freni, e il deputato Giulio Centemero, entrambi della Lega. Il rinnovo per tre anni degli incentivi per la quotazione e la creazione di un fondo dei fondi con capitali pubblici e privati per investire sulle aziende di Piazza Affari sono i progetti ai quali Freni e Centemero si sono impegnati, cercando come sponda i vertici di Borsa e il mondo associativo come Assogestioni e Assonext, entrambe con sede a Milano. Non sempre è stato facile confrontarsi perché il ddl Capitali, approvato in via definitiva a febbraio 2024, che pure contiene riforme importanti per il mercato azionario, ha indebolito la prassi della lista del cda tanto cara a public company come Mediobanca e Generali e ben vista da società con azionariato diffuso e da fondi d’investimento.
Nella commissione per la riforma del Testo unico della finanza che avrebbe dovuto mitigare quest’aspetto è ancora tutto fermo. Così i rapporti con un certo mondo si sono cominciati a sfilacciare, ma contemporaneamente, il ministro Giancarlo Giorgetti, attraverso il direttore generale del Tesoro, Marcello Sala, ha rafforzato le relazioni con istituzioni bancarie e finanziarie che hanno sede nel capoluogo lombardo. Compresa Banco Bpm, che il governo voleva coinvolgere nel progetto del terzo polo bancario prima di essere scavalcato da Unicredit. Ma a ben guardare, sono tutti rapporti che fanno capo alla Lega e che coinvolgono quel tessuto di piccole e medie imprese del nord che è il principale elettorato di questo partito.
Fratelli d’Italia nella finanza milanese praticamente non si è mai vista. E, però, quando si è trattato di prendere una posizione sulla mossa del Mef guidato da Giorgetti di sostenere l’ambiziosa scalata di Mps, la presidente del Consiglio non ha avuto dubbi dicendo che si tratta di un buon progetto, mentre Antonio Tajani di Forza Italia si è esposto meno ribadendo che il governo dovrà uscire da Mps (anche se non ha detto quando). L’impressione è che al giro meloniano non interessi neanche farsi vedere troppo a Milano, visto che può contare su una classe dirigente solida ma con scarsa confidenza con banche e banchieri, però è evidente che intende assecondare le ambizioni dei soci di Mps che hanno interessi in Mediobanca e nella partecipata Generali. Se il Monte può diventare il cavallo di Troia per la presa del Leone di Trieste perché non buttarsi dentro?