Le aggressioni continue al primato della politica, i governi colpiti dalla magistratura con tempistiche equivocabili, da Silvio Berlusconi alla moglie di Clemente Mastella fino agli esponenti politici vicino al governo Renzi
In questa storia c’è tutto. C’è il tempismo, certo, ma c’è anche il feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale, c’è l’ipocrisia dell’atto dovuto, c’è il rischio di avere una giustizia esondante e c’è il pericolo concreto di ridurre lo spazio all’interno del quale la politica fa la politica e la magistratura fa la magistratura. La storia la conoscete, con tanti saluti a Montesquieu. La storia la conoscete. Ieri mattina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto la notizia dell’apertura di un’indagine per favoreggiamento e peculato. L’oggetto dell’indagine riguarda il famoso rimpatrio del comandante libico Almasri (rilasciato in modo goffo dal governo sulla base di un cavillo giuridico, nonostante un mandato d’arresto pendente della Corte penale internazionale, ma questo governo non è il primo e non sarà l’ultimo a dover fare compromessi dolorosi con un paese strategico per l’Italia per l’approvvigionamento del gas e per il controllo dei flussi migratori). Lo stesso avviso (la palla passerà al tribunale dei ministri) è arrivato al sottosegretario Alfredo Mantovano, ai ministri della Giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi. Ci sono modi diversi tra loro per prendere di petto questo tema, non ultimo quello suggerito dal nostro amico Giuseppe De Filippi a pagina quattro, il fatto cioè che vada denunciato e perseguito con forza questo complotto per far diventare meloniano anche chi meloniano non è.
Quello che è forse più interessante da mettere a fuoco riguarda un problema grave che costituisce un sospetto più che legittimo e che investe alcune dinamiche consolidate nei rapporti tra potere legislativo e potere giudiziario. I più maliziosi potrebbero pensare che vi sia un tempismo curioso nelle raffiche di notizie di indagine recapitate ad alcune figure chiave del governo nell’esatto momento in cui la magistratura ha scelto di muoversi come una falange armata per combattere con tutti i mezzi a disposizione la riforma della giustizia. Nel passato recente del nostro paese è capitato spesso di ritrovarsi di fronte a governi colpiti dalla magistratura con tempistiche diciamo equivocabili. Ed è capitato spesso di venire a conoscenza di indagini contro esponenti vicini a un esecutivo negli stessi attimi in cui quell’esecutivo stava decidendo di sfidare lo status quo della magistratura. Si potrebbero ricordare le infinite aggressioni giudiziarie contro Silvio Berlusconi, nelle stesse stagioni in cui Berlusconi provò senza successo a riformare la giustizia. Si potrebbe ricordare il caso della moglie di Clemente Mastella, arrestata, nel 2008, nel giorno in cui l’allora ministro della Giustizia del governo Prodi presentò alla Camera la relazione sullo stato della giustizia. Si potrebbe ricordare il caso delle infinite indagini partite, spesso senza prove, contro esponenti politici vicini al governo Renzi, tra il 2015 e il 2016, negli stessi mesi in cui il governo Renzi provò non con grande successo a riformare la giustizia. Si potrebbero aggiungere a questi molti altri casi sospetti, casi in cui il potere giudiziario ha scelto di intervenire in modo del tutto discrezionale nella vita politica del paese inseguendo teoremi e lanciando avvertimenti fuori dalla norma al potere esecutivo.
Ai tempi della bicamerale del 1992, quando si provarono a separare le carriere, gli allora componenti di quella bicamerale, come ci ha raccontato Marco Boato, ricevettero un minaccioso fax dell’Anm, in cui veniva brutalmente diffidata la commissione dall’affrontare i temi legati alla riforma della giustizia, e in particolare la separazione delle carriere. Ma ciò che forse è maggiormente utile da mettere a fuoco nella storia degli avvisi di garanzia contro alcuni esponenti rilevanti dell’esecutivo (non esistono atti dovuti, in casi come questi, esistono atti voluti: le denunce che arrivano nelle procure d’Italia contro i membri del governo sono infinite, non tutte diventano indagini, quando lo diventano è perché vi è una decisione discrezionale, non un automatismo) riguarda un tema di carattere generale che ha a che fare con un film tristemente ricorrente nella vita del nostro paese: l’aggressione esplicita e deliberata della magistratura al primato della politica. In questo caso non si tratta solo di interferire, in modo certamente non volontario, con la riforma della giustizia. Si tratta di voler interferire con qualcosa di ancora più importante: la legittimità della politica di avere l’ultima parola su decisioni strategiche per la vita del paese. Il film è composto di molte scene, è un film che parte da lontano, è un film all’interno del quale si sono viste scene drammatiche come quelle che hanno avuto per protagonisti magistrati che cercano di determinare in modo discrezionale la linea di un governo quando si parla di politica industriale (Ilva), quando si parla di politiche ambientali (Tempa Rossa), quando si parla di politiche energetiche (Eni), ed è un film che negli ultimi mesi, e nelle ultime ore, si è arricchito di alcuni fotogrammi rilevanti. L’ultimo della serie è quello osservato ieri e riguarda, come scrive Maurizio Crippa oggi, il tentativo della magistratura di decidere in modo discrezionale cosa è ragion di stato e cosa non lo è (chi lo decide quando un governo può o non può mettere al servizio della ragion di stato il suo volo di stato, un procuratore della Repubblica o un responsabile del governo?). E l’ambito all’interno del quale la magistratura ha scelto di mettere in campo una sua precisa visione del mondo è lo stesso in cui da mesi vive un confronto per così dire vivace tra potere giudiziario e potere legislativo: il perimetro delle politiche migratorie.
L’ultimo duello sul tema è stato pochi mesi fa, nelle settimane durante le quali la magistratura ha scelto di sfidare il governo sul tema della definizione dei paesi sicuri, arrivando secondo chi scrive a esondare dalle sue dirette competenze (nella storia di Salvini, nella storia di Open Arms, indagine aperta a Palermo dallo stesso magistrato che ieri ha indagato Meloni & Co., non vi era alcun complotto, ma vi era un politico che aveva scelto deliberatamente di violare il diritto del mare, e che è stato graziato più che assolto per aver commesso un atto che lui stesso aveva rivendicato, mentre nella storia dei rimpatri ci sono dei magistrati che in modo deliberato hanno ammesso le proprie intenzioni sostenendo che non può essere la politica a occuparsi di rimpatri ma deve essere la magistratura). Anche il campo all’interno del quale sono maturati gli avvisi di garanzia di ieri fa parte dell’ambito largo dell’immigrazione, che un pezzo di magistratura ha scelto di far diventare cruciale per provare a limitare il più possibile il raggio d’azione del potere esecutivo. Si dirà: è solo un caso che le frizioni più evidenti tra potere esecutivo e potere giudiziario siano maturate negli ultimi mesi attorno al tema dell’immigrazione? Può essere certamente un caso, non siamo complottisti, lo sapete, ma potrebbe anche non esserlo.
Una piccola storia per capire di cosa si parla. Nell’aprile del 2023, Nello Rossi, già presidente di Magistratura democratica, già segretario dell’Associazione nazionale magistrati e già componente del Consiglio superiore della magistratura, ha vergato un duro editoriale su una delle riviste più famose tra le correnti della magistratura: Questione Giustizia, organo ufficiale con cui comunica Magistratura democratica. Rossi individuò con chiarezza una serie di temi su cui costruire, all’interno del mondo della magistratura, un fronte compatto per dar vita a una forma di resistenza necessaria per salvare il paese dall’ascesa dei nuovi poteri, anche a costo di esercitare un potere di supplenza nei confronti della classe politica. “In moltissimi campi della vita sociale ed economica – scrisse Rossi – è il giudiziario a intervenire in esclusiva, o almeno in prima battuta, nella ricerca di soluzioni di problemi inediti talora incancreniti dalla paralisi e dall’inerzia della politica”. E per poter offrire, da magistrati, “un ruolo di garanzia dei diritti e della dignità delle persone e delle molte minoranze che popolano le moderne società”, Rossi individuò una piattaforma precisa. “In una società in cui ciascun individuo può ritrovarsi a far parte di una delle molte minoranze che compongano la collettività è fortissima l’esigenza di una magistratura che assolva un incisivo ruolo di garanzia dei diritti individuali e della dignità delle persone”. Fra i temi da presidiare con forza, Rossi evocò “la protezione di diritti umani fondamentali come nel caso dei migranti”. E per portare avanti questo progetto, scrisse ancora Rossi, il magistrato non può pensare di essere un semplice passacarte, ma deve rivendicare il suo ruolo speciale nella società, anche a costo di allargare il perimetro delle proprie prerogative: “La Costituzione non indica più una direttrice di marcia univoca nel cui solco il giudiziario possa identificare una sua funzione unitaria, storica.
Ma restano fortissimi i bisogni di tutela della persona e di garanzia delle molte minoranze di cui si compone la società. Una funzione di garanzia che, ancora una volta, non può essere assunta da un magistrato burocrate e che, ancora una volta, richiede che l’interprete attinga nel compiere le sue scelte a valori indicati nella carta costituzionale e nelle carte dei diritti che si sono venute affermando”. In questa storia, nella raffica di indagini comunicate ieri ad alcuni importanti esponenti del governo (può un procuratore della repubblica appartenente a una corrente della magistraturanconsiderare una denuncia poco importante se proprio su quel caso vi è l’Anm che da giorni verga comunicati contro il governo?), c’è il tempismo sospetto, c’è il feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale, c’è l’ipocrisia dell’atto dovuto, c’è il rischio di avere una giustizia esondante ma c’è prima di tutto il rischio di chiudere gli occhi di fronte a un film che l’Italia ha già visto molte volte: l’aggressione non a un governo ma a qualcosa di più importante, che riguarda i confini non negoziabili di uno stato di diritto e di una democrazia. Semplicemente, il primato della politica. Vigilare senza ipocrisie, grazie.