Il successo del governo attuale è innegabile, la povertà è in diminuzione. Per l’Argentina ora il problema è il tasso di cambio che per il presidente argentino deve essere liberalizzato: il dubbio è quando farlo e se eliminare da subito il cambio fisso e affidarsi a quello del mercato
“Stiamo vincendo la partita per due a zero ma siamo solo a metà del primo tempo”, dice il presidente dell’Argentina Javier Milei. I successi del suo governo sono innegabili. L’inflazione annuale passata dal 210 per cento del 2023 al 117 per cento del 2024. Il pil registrerà una contrazione inferiore alle aspettative (-2,8 per cento) e nel terzo trimestre è cresciuto del 3,9 per cento rispetto all’anno precedente. Nel 2025 si prevede una crescita vicina al 5 per cento. Secondo varie stime indipendenti, la povertà è già inferiore a quella ereditata dal precedente governo. Le riserve in dollari si stanno ricomponendo.
Ma la metafora calcistica è un serio avvertimento al governo. Rimane ancora un tempo e mezzo di gioco, ovvero tre anni di presidenza. Adesso la principale sfida non è né l’attività economica né l’inflazione, ma il regime cambiario. Da anni in Argentina vige un tasso di cambio fisso tra peso e dollaro. Esiste poi un tasso parallelo che regola ufficialmente molte attività economiche. Milei ereditò dal precedente governo un dollaro che si scambiava ufficialmente a 360 pesos, ma che nel mercato parallelo veniva scambiato a 950. Una notevole differenza (160 per cento) che ha alimentato un sistema produttivo distorto. Ora la differenza tra i due tassi è attorno al 10 per cento.
Per Milei non ci sono dubbi: il tasso di cambio deve essere liberalizzato. Il dilemma è come e quando farlo. Eliminare da subito il tasso di cambio fisso e affidarsi a quello del mercato avrebbe portato a un’iperinflazione e generato un aumento smisurato della povertà. Sin dall’inizio del mandato il governo ha quindi optato per una svalutazione controllata del peso (crawling peg) per potere contenere l’inflazione. Ma, nonostante un’iniziale svalutazione del 45 per cento e una mensile a ritmo del 2 per cento, il peso non si è svalutato tanto. Anzi, complice un’inflazione annuale ancora elevata è la valuta che nel mondo più si è apprezzata più in termini reali nei confronti del dollaro. Per i turisti, nel giro di qualche mese l’Argentina è passata dall’essere un paese economico a uno caro. In più, la moneta che più si è deprezzata nel 2024 è il real brasiliano. Un’ottima notizia per gli argentini che hanno deciso di passare le vacanze estive australi in Brasile. Ma è una notizia che genera allarme nel governo. Buona parte delle esportazioni è a rischio, considerato che il Brasile è il principale mercato dell’export argentino. Il settore agricolo, finora il vero motore dell’economia argentina grazie alle sue esportazioni, è tra le principali vittime del super-peso. I produttori sono in crisi da tempo tra un prezzo internazionale della soia ai minimi in termini dal 2006, un’alta tassazione imposta dal passato governo, a cui Milei e il ministro dell’Economia Luis Caputo hanno appena dato una sforbiciata, e anni di convivenza con un doppio tasso di cambio. Il super-peso rende più difficile l’export e meno redditizio il settore. Il primo campanello d’allarme è stato il default del gruppo Los Grobo, tra le principali aziende agricole del paese.
Così il governo è costretto a procedere tra due fuochi. Liberalizzare il cambio interromperebbe il processo disinflazionario e, quindi, minerebbe l’immagine del governo in vista delle elezioni parlamentarie di metà mandato del 2025. Difficile poi riuscire a liberalizzare il tasso di cambio senza le riserve in valuta. Dall’altro lato, continuare con un super-peso potrebbe spingere interi settori verso il fallimento. Un possibile aiuto potrebbe arrivare da un aumento delle esportazioni di gas e petrolio e da un accordo con il Fmi, grazie all’appoggio di Trump. Si ricomporrebbero così le riserve in valuta necessarie per stabilizzare il mercato cambiario.
Ma, dopo un 2024 al di là delle aspettative, il governo ha poco interesse a liberalizzare il tasso di cambio rischiando di provocare un picco inflazionario. Di fronte a una partita che finirà con le presidenziali nel 2027, Milei preferisce guardare più alle elezioni di metà mandato del 2025. E’ una scelta fisiologica per un presidente senza maggioranza parlamentaria. Milei sa che per ottenere il massimo risultato dovrà presentarsi all’elettorato con l’inflazione più bassa possibile, anche a costo di mantenere il doppio tasso di cambio e un super-peso. Si spiega così la recente decisione di rallentare il ritmo di svalutazione mensile del peso dal 2 all’1 per cento a partire da febbraio.
Per riusare la stessa metafora calcistica, Milei punta adesso a conservare il vantaggio acquisito fino alla fine del primo tempo. Nel secondo tempo, a partire dal 2026, si giocherà un’altra partita.