Le tre squadre di vertice sono quelle che meritano di esserlo, per spessore della rosa, carattere, accorgimenti tattici, potenza fisica. Le note stonate non sono in campo ma nella gestione societarie
Finale di partita. La corrida di Lazio-Fiorentina, dal recupero prolungato fino al folle palo interno di Pedro, fa il paio con il pathos di San Siro, dove il Milan acciuffa il successo al di là dei propri meriti: per quanto sgrammaticata e qualitativamente impoverita sia la Serie A, il calcio giocato ce la sta mettendo tutta per rendersi di nuovo appetibile anche alle recenti generazioni, attratte maggiormente dal basket Nba forse per l’incertezza fino alla sirena.
Sbocciano giovani campioni (Nico Paz), ci sono le belle favole, i blasoni in declino, una pioggia di meme istantanei, perfino le qualificazioni europee certe per quasi tutte. E anche chi non ce la farà, come il Bologna, fa belle figure onorando la rivoluzionata manifestazione continentale.
Le note stonate stanno semmai nelle gestioni societarie, nei conti sbagliati delle proprietà americane, nei procuratori tossici, nella formula a venti squadre che segna il passo ogni anno di più. Tutti elementi che fanno passare in second’ordine anche le discontinue prestazioni di Dušan Vlahović, mentre il suo doppio Randal Kolo Muani, mobile e tecnico, va subito a segno.
Continuità come mantra: se un ritmo non si ripete, te lo scordi il groove. Deve capirlo la Lazio, che ogni volta si proietta in alto viene poi rimbalzata la partita successiva. Una maturità di là da venire, situazione comune a molte squadre e non aliena alla stessa Roma, dal generoso dischetto venuta a capo dell’Udinese.
Pare tuttavia l’anno buono per smentire sia quelli che “c’è niente più da inventare nel calcio”, sia quanti si danno un tono dicendo “portiamo il braccetto dentro il campo, diamo ampiezza”: le tre squadre di vertice sono quelle che meritano di esserlo, per spessore della rosa, carattere, accorgimenti tattici, potenza fisica. Nessuna over performance, il che -come quasi tutto – è pure spiegabile.
Questo torneo, nelle ultime settimane, è diventato il dominio personale di André-Frank Zambo Anguissa, assist, reti e ubiquità: grazie a lui e a Scott McTominay, solo il Napoli ha vinto le ultime cinque consecutive, contando sopra il maggior numero di centrocampisti da gol, presenti nelle alte sfere della classifica marcatori.
Leggere i dati, una volta in più, serve a leggere il campionato: in quest’ultima graduatoria, solo Atalanta e Inter hanno due punte a testa tra le primissime avanguardie dei cannonieri. Il Napoli, appunto, solo uno (penalizzato dalle paturnie di Kvicha Kvaratskhelia) ma sopperisce con gli inserimenti dalla mediana: quelli che al momento non sorridono troppo nei numeri all’Inter di Nicolò Barella, Hakan Çalhanoğlu, Henrikh Mkhitaryan né all’Atalanta di Éderson, Mario Pašalić e Lazar Samardžić.
Sarà una delle chiavi di lettura delle prossime settimane, per chi non si sofferma a quali concerti rap frequentano i calciatori del Milan – sani o infortunati – due sere prima della partita o non solidarizza con Eusebio di Francesco, stoico Paolino Paperino al quale stanno smontando la squadra pezzo per pezzo, obbligandolo comunque a schierare un undici ogni settimana. Chissà quale sarà, stasera contro l’Hellas Verona, il finale di partita di Joel Pohjanpalo: molto più di un calciatore, per la comunità che aveva scelto e che l’ha accolto come proprio. Se poi il Venezia, come il Monza a Marassi, non dovesse vincere, nessuno si chiederà più per chi suona la campana.