Nonostante i divieti americani, piomba sui mercati l’effetto della ChatGpt cinese e molto più economica. Il problema della sicurezza e il crollo dei titoli tech
Oggi è stata una giornata catastrofica per i titoli tecnologici dei mercati occidentali. Il Nasdaq Composite, l’indice che raccoglie la maggior parte delle società tech e ha una funzione di barometro del settore, è sceso improvvisamente di 3,5 punti percentuale in apertura. Il colosso della produzione dei microchip Nvidia, fondato dalla rockstar taiwanese Jen-Hsun Huang e di base a Santa Clara, ha perso più di 500 miliardi di dollari di valore di mercato. Il motivo del caos è legato all’improvviso successo di DeepSeek, una start up di intelligenza artificiale generativa made in China che nel giro di poche settimane ha cambiato la percezione degli investitori sulla tecnologia occidentale. Perché la sua ultima versione, chiamata R1, è stata sviluppata a una frazione del costo rispetto alle controparti americane.
Dietro alla notizia del crollo delle azioni tech c’è uno dei momenti più importanti della competizione tecnologica tra America e Cina, e più in generale tra occidente e Cina, quello che in molti in questi giorni stanno chiamando “il momento Sputnik” dell’intelligenza artificiale. Perché se Pechino è riuscita a produrre e perfezionare una tecnologia simile a quella occidentale, senza bisogno dei giganteschi investimenti delle Big Tech per lo più americane, e nonostante le limitazioni e i divieti firmati negli ultimi cinque anni dall’ex Amministrazione americana di Joe Biden sulle esportazioni verso la Cina di prodotti altamente tecnologici, allora potremmo essere al punto di non ritorno profetizzato da diversi studiosi di questioni tecnologiche.
Rebecca Liao, imprenditrice tech che ha lavorato nell’Amministrazione Biden, anche nella stesura del Chips Act, ha scritto lunedì su X che fino a qualche tempo fa “pensavamo che se fossimo riusciti a impedire alla Cina di avere i semiconduttori più all’avanguardia, la Cina non avrebbe mai avuto la potenza di calcolo necessaria per sviluppare i migliori prodotti di IA”. E invece a quanto pare è successo il contrario, e la lezione da imparare è che “l’unico modo per competere è competere. Cioè investire nel settore tecnologico e restare attrattivi per i talenti”. Questo era il problema cruciale del dibattito internazionale attorno all’IA, molte volte scambiato per altro – come durante l’ultimo G7 a guida italiana, quando la discussione sull’IA è stata ridotta alla tecnologia “che rischia di sostituire l’intelletto” nel mercato del lavoro. Kai-Fu Lee, ex capo di Google Cina e considerato un guru nel settore dell’IA, autore del libro “AI Superpowers”, aveva previsto che in futuro l’America e i suoi alleati guideranno il mondo nelle innovazioni, “ma la Cina sarà migliore e più veloce nell’ingegneria”, soprattutto quando le sue risorse sono limitate. Lo può fare anche grazie al suo sistema autoritario e alla spinta del Partito comunista cinese al dominio tecnologico.
DeepSeek è un’azienda giovanissima: è stata fondata nel luglio del 2023 da Liang Wenfeng, laureato all’Università di Zhejiang, una delle più importanti nel sistema di sviluppo tecnologico cinese, e cofondatore dell’hedge fund High-Flyer Capital. Di Liang si parla molto in questi giorni, soprattutto perché a partire dal 2021 ha iniziato ad acquistare e accumulare decine di unità di elaborazione grafica (Gpu) di Nvidia – le stesse che poi sono state bloccate alla vendita verso la Cina – con cui nel 2023, aiutato da un piccolo team di ingegneri, ha costruito il primo supercomputer di DeepSeek. I vincoli imposti dalla politica hanno aiutato gli scienziati a essere più creativi, e a fare qualcosa che finora non era stato fatto: rendere l’IA meno energivora, un altro problema gigantesco menzionato anche dal nuovo presidente americano Donald Trump mentre annunciava investimenti sulla produzione energetica anche inquinante per star dietro all’innovazione tecnologica. Insomma, meno microchip e tecnologie necessarie (per questo il crollo delle azioni di Nvidia) e meno carbone, acqua ed emissioni. Sembra la storia di un successo tecnologico, ma per la politica internazionale è un problema di sicurezza, e lo è anche per la libertà di base scientifica. La censura di base imposta a una piattaforma come DeepSeek non è di primaria importanza per un utilizzatore finale, specialmente nei mercati del cosiddetto Sud globale dove Pechino vorrà espandere il suo dominio tecnologico. Per meglio dire: se la tecnologia DeepSeek serve all’azienda del sud-est asiatico per implementare il suo servizio clienti, non avrà grande rilevanza sapere se quella stessa tecnologia censura le domande riguardanti piazza Tiananmen oppure considera Taiwan “parte inalienabile della Cina”.
Ma anche questo è un simbolo, e la punta di un iceberg di un problema che potrebbe diventare molto più grande: “L’etica dell’IA è importante”, dice al Foglio Robert Potter, esperto di sicurezza informatica e docente al programma Cooperative Threat Reduction del dipartimento di stato americano. “Se la Cina prende il comando in questo settore, anche se non lo ha ancora fatto, è probabile che i valori alla base della tecnologia riflettano le sue preferenze autoritarie. Se non vogliamo che ciò accada, dovremmo cercare di ostacolare i loro progressi e limitare l’accesso al mercato”. Potter è d’accordo con la necessità di controllare la tecnologia, “soprattutto perché gran parte del loro ecosistema è costruito sul furto di proprietà intellettuale e sulla messa al bando dei rivali, due elementi che inibiscono il libero mercato. Tuttavia, penso che le vendite di prodotti ad alta tecnologia dovrebbero essere limitate solo se sono legate alla sicurezza nazionale”. In passato, diverse aziende cinesi che sviluppano sistemi d’intelligenza artificiale, come Megvii, sono finite sotto scrutinio di think tank e ong per via dell’applicazione della tecnologia nel controllo securitario imposto dal regime di Pechino.