Si fa gran scandalo per le pretese di Caltagirone su Mediobanca e addirittura sulle Generali. I milanesi hanno marciato su Roma tante volte, e ora un branco di meridionali assatanati cinge d’assedio la loro città. Tutto, anche la politica, molto complicato
L’antropologia politica della finanza mi ha sempre interessato più della finanza. Milano contro Roma, la Francia contro l’Italia, e naturalmente Nord e Sud, sinistra e destra, privato e pubblico, mercato e partiti. Ora si fa gran scandalo per il fatto che Francesco Gaetano Caltagirone, romano, abbia pretese su via Filodrammatici (Mediobanca, Piazzetta Cuccia per la precisione toponomastica) e addirittura su Trieste (Generali), gigante internazionale eurofrancoitaliano delle assicurazioni. Con la complicazione di un ministro leghista, il Giorgetti di Cazzago Brabbia in provincia di Varese, incoronato dal Magazine del Financial Times, e Dio solo sa quanto i milanesi diffidino dei leghisti varesotti anche se portano reverenza alla City, che è un uomo del nord in un governo retto con mano ferma da una figlia della Garbatella, da sua sorella e dalla famiglia Musk, addirittura sudafricana.
Tutto molto complicato, scherzi a parte.
Sta di fatto che Raffaele Mattioli, il fondatore di Mediobanca, era abruzzese, e per questo banchiere umanista. Enrico Cuccia il dominatore era siciliano, e si vedeva da tante cose e cosucce, un talento geniale del silenzio e della famiglia, in tutti i sensi legali e etici del termine, imparentato con il capitalismo italiano. Anche il manager Alberto Nagel, che sembra tedesco per parte di padre, lavora a Londra e a Milano da sempre, ha una madre di Barletta, che non è nell’Hinterland. Francesco Milleri di Luxottica, erede di uno schietto milanese come Leonardo Del Vecchio e associato a Caltagirone, che è romano sì, ma buddista, è umbro, di Città di Castello, dove abita Mario Draghi, super-romano di stazza mondiale. Philippe Donnet, capo di Generali, e allievo del grande Claude Bébear, nel ramo assicurazioni e finanza, viene dall’Île-de-France ma come cittadino italiano è un naturalizzato e meridionalizzato.
Diciamocelo: l’antropologia culturale e politica della finanza italiana è un casino.
Su tutto o sottosopra, per semplificare, si staglia l’infinita rivalità Milano-Roma. Bologna e Firenze hanno dato, sono pacioccone e vanitose, hanno fatto il peso ma up to a point e sono durate quel che sono durate. Milano però è sempre stata il punto di partenza statuale e di regime (Mussolini, di gran moda, e Berlusconi, anche lui di gran moda, Craxi che non passerà mai di moda) della marcia su Roma. Fosse arrivato il momento di una mezza rivincita romana, passando per l’operazione “strade bianche”, così senese nella dizione e nel cominciamento bancario (e Siena è una città pazza e meravigliosa, con una banca che è un per sempre per chi la conosca, alla cui testa sta un uomo, Luigi Lovaglio, nato addirittura a Potenza)? La sinistra teme il terzo polo bancario del Torrino, il luogo di residenza dell’unica statista romana che si conosca dopo Livia Drusilla, moglie dell’imperatore. I milanesi temono i costruttori & finanzieri, non si capisce perché visto che anelano al salva-casa, e per ragioni forti, basta guardare la loro nuova skyline. Hanno marciato su Roma tante volte, e ora un branco di meridionali assatanati, come è sempre stato, cinge d’assedio la loro città. Tutto molto complicato, tra stato e mercato in un mondo in cui deep state e deep market si stanno rapidamente dissolvendo nell’IA, intelligenza artificiale. Al lavoro e alla lotta, dunque.