Al modello cinese di sicurezza “preferisco il modello italiano. Io vado in Cina e in Giappone per lavoro, come andrò in Israele per lavoro, come andrò negli Stati Uniti per lavoro”, ha detto questa mattina, rispondendo a una domanda del Foglio, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini in visita a Ponte Milvio a Roma, dove ha presenziato alla raccolta firme per la petizione leghista “Difendiamo chi difende gli italiani”. Tre giorni fa, partecipando alla festa di Primavera dell’ambasciata della Repubblica popolare cinese a Roma, Salvini aveva annunciato la sua missione a Pechino prevista a maggio prossimo.
Negli ultimi anni gli incontri e i contatti di Salvini con i rappresentanti cinesi – e con Jia Guide, ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia – si sono fatti più frequenti. Eppure soltanto cinque anni fa, il 2 luglio del 2020, aveva organizzato addirittura un sit-in davanti all’ambasciata cinese a Roma per protestare contro le violazioni dei diritti umani a Hong Kong.
“Faccio il vicepresidente del Consiglio e rappresento tutti gli italiani e se c’è la possibilità di aiutare le imprese italiane a fare il loro lavoro in Argentina, in Canada, in Groenlandia visto che va di moda in Giappone, in Cina piuttosto che ovunque, io ci vado”. La responsabilità della promozione delle imprese italiane all’estero sarebbe, formalmente, in capo al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e al ministero degli Esteri di Antonio Tajani che ha le deleghe al commercio estero.
Nel 2018 Salvini nominò Michele Geraci, allora leghista e oggi nella squadra di Gianni Alemanno, sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico guidato da Luigi Di Maio. All’epoca il “modello cinese” di sicurezza era molto in voga. Alla domanda del Foglio se, al di là delle opportunità di business, il ministro apprezzi ancora il modello di sicurezza cinese, Salvini risponde: “Una Repubblica comunista non è esattamente il mio modello di futuro”.