Nato appena quattro anni fa a due passi da Chinatown, il museo ospita, a rotazione, tutti i prodotti premiati con il Compasso d’oro dal ‘54 in poi, oltre a mostre temporanee. Nel 2024 è stato visitato da circa 125mila persone
Un museo da 5.135 metri quadri, sorto in una ex area industriale, e che al suo interno ospita una grande collezione permanente di circa 2.500 opere e un frequente succedersi di mostre temporanee. Inoltre, un laboratorio di restauro, un’officina creativa in cui possono divertirsi e apprendere i bambini, un bookshop, una caffetteria, luoghi di incontro. Tutto questo è l’ADI Design Museum, inaugurato a Milano nel maggio del 2021 a un passo dal quartiere Paolo Sarpi, la cosiddetta Chinatown milanese.
Alla base di tutto c’è il Premio Compasso d’oro, nato nel 1954 da una idea di Gio Ponti: è il più antico riconoscimento a livello mondiale nel mondo del design. Si tiene ogni due anni e il suo scopo è valorizzare la qualità della progettazione made in Italy. Ebbene, la collezione permanente dell’ADI Design Museum, riconosciuta dal ministero della Cultura come bene di eccezionale interesse storico-artistico, è costituita dagli oggetti premiati con il Compasso d’oro, e viene esposta a rotazione ciclica. Si va dalla mitica Fiat Cinquecento alla altrettanto celebre macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, passando per lampade che hanno fatto la storia come la Tolomeo, la Parentesi e la Eclisse, la macchina da cucire Mirella, la poltrona Sacco, e centinaia di altri oggetti di uso comune o che oggi non utilizziamo più, ma che hanno segnato lo sviluppo della società italiana.
Motore dell’iniziativa è l’Associazione per il Disegno Industriale, l’ADI, il cui scopo, si legge nell’atto costitutivo datato 7 giugno 1957, è “promuovere la formazione di un ambiente favorevole agli sviluppi del disegno industriale in Italia”. Nel 2001, l’ADI ha dato vita alla Fondazione ADI Collezione Compasso d’Oro, che gestisce il museo. “Ogni edizione del Compasso d’oro – ci spiega Luciano Galimberti, presidente di ADI – prevedeva che venissero lasciati degli oggetti in dono all’associazione e quindi in questi settant’anni abbiamo raccolto una collezione di oltre 2.300 opere”. Quando si è trattato di decidere cosa farne e come esporle, ricorda Galimberti, si è optato per costituire un vero e proprio museo per “coinvolgere e spiegare il senso del design italiano al grande pubblico e anche agli addetti ai lavori”.
Oltre alla collezione permanente, l’ADI Design Museum ospita tutta una serie di mostre temporanee. È terminata il 12 gennaio un’esposizione sulla comunicazione dell’Atm, l’azienda di trasporto pubblico milanese, e il 14 dello stesso mese ne è stata inaugurata una intitolata “Olivetti. Uomini e progetti”, dedicata all’azienda che, tra l’altro, ha ricevuto il maggior numero di Compassi d’oro. Fino al 16 febbraio sarà possibile visitare “Architecture for dogs”, curata da Kenya Hara. Una mostra che, come dice il titolo, presenta un ampio panorama di soluzioni architettoniche per i “migliori amici dell’uomo”.
Ma che numeri fa, a livello di visitatori, l’ADI Design Museum? “Numeri soddisfacenti”, ci risponde Cancellato. “Il 2024 si è chiuso con oltre 125mila visitatori, in crescita rispetto all’anno precedente che ne ha fatti 105mila e qualcosa, e al 2022, in cui ne aveva fatti attorno ai 90mila”. Una crescita continua, quella evidenziata dal direttore, che dimostra una “costante attenzione da parte del pubblico, un pubblico giovane” e “molto interessato anche alle iniziative collaterali e non solo alle mostre”.
“È stato interessante, nella costruzione del nostro museo, verificare il Dna del design italiano”, ci spiega il presidente di ADI, Galimberti, quando gli chiediamo cosa hanno da dire, a un pubblico contemporaneo, oggetti realizzati anche settant’anni fa. “Il design italiano – prosegue – non si è mai accontentato di risolvere la propria funzione nel disegno della forma dell’oggetto, ma ha sempre cercato di costruire relazioni sempre nuove con quello che banalmente possiamo sintetizzare nel mercato, negli utenti, nelle persone, nella società”.
“Nel nostro museo – argomenta Cancellato – non abbiamo opere d’arte, abbiamo opere dell’ingegno, e la funzione di questo museo è di spiegare che è quasi più importante l’ingegno italiano dell’arte italiana, o comunque altrettanto importante, però viene rappresentato in modo totalmente diverso”. Pagare un biglietto per vedere oggetti che possiamo trovare nella nostra quotidianità, continua Cancellato “ci dà una responsabilità molto grande, che è quella di fare del museo il luogo della ricerca, dove si continua a studiare, perché il design italiano è il più importante al mondo”.