Santi, chiese e vie di Roma sconosciuti in un libro di Paolo Mattei: non l’ennesima superflua guida turistico-spirituale, ma una selezione di articoli che scandisce un calendario di percorsi inconsueti, alcuni davvero sconosciuti
All’inizio di questo invito al viaggio, da pellegrini o da semplici persone curiose e commosse, per le strade di Roma non c’è un Giubileo. Non è necessario. All’inizio di questo girovagare pieno di stupori e sorprese c’è invece Gadda, l’Ingegnere, perché è da lui, da un celebre passo del Pasticciaccio, che Paolo Mattei s’è immedesimato per il suo titolo. “Era una giornata meravigliosa: di quelle così splendidamente romane che persino uno statale di ottavo grado, ma vicino a zompà ner settimo, bè, puro quello se sente aricicciasse ar core un non socché, un quarche cosa che rissomija a la felicità”. Un nonsoché che assomiglia alla felicità – Santi, chiese, strade e varia umanità di Roma (Edizioni Nuova Cultura) è un piccolo bel libro, a tratti commovente, pieno di storie e luoghi di Roma, del suo popolo cristiano, della sua arte, che davvero riempie gli occhi e fa sobbalzare di inattese felicità. Giornalista, musicista e poeta, romano, a Paolo Mattei è sempre piaciuto quel “nun socché”. Gli ricorda da molto vicino, dice, “il nescio quid di sant’Agostino”, che a proposito del Paradiso scriveva che “suona già qui sulla terra un non so quale canto dolce agli orecchi del cuore, basta che il frastuono del mondo non sia assordante per chi cammina in questa dimora e guarda i miracoli di Dio”.
Il libro di Mattei non è l’ennesima superflua guida turistico-spirituale al Giubileo. Si tratta invece di una raccolta di articoli scritti nel corso degli ultimi anni per l’Osservatore Romano e dedicati a scoperte, storie e memorie di santi romani. Però l’augurio di Agostino a schivare “il frastuono del mondo” è un invito a camminare per Roma scoprendone una “santità” che va molto oltre il famoso cupolone vendittiano. (Ma, giusto per stare dalle parti del vecchio Folkstudio, in queste pagine si incontra anche la bellissima canzone che De Gregori ha dedicato al bombardamento di San Lorenzo, con Pio XII che “in mezzo alla gente spalancò le ali / sembrava proprio un angelo con gli occhiali”).
La Roma di ieri e di oggi, schivando le cose più sapute e scovando gemme d’arte. Nella prefazione Lucio Brunelli, vaticanista ed ex direttore dei tg della Cei, ci ricorda Dante, cui Beatrice assicura che in Paradiso saranno insieme in “quella Roma onde Cristo è romano”. “Fa impressione sentire parlare di ‘Cristo romano’, ma è così”, scrive Brunelli: “La presenza di Cristo resta eternamente legata a questa città da quando gli apostoli Pietro e Paolo calcarono le sue vie, ne ammirarono la maestosità, versarono il loro sangue… una storia che ha cambiato per sempre il volto della città”. E che permane, raccontano i brevi bozzetti di Paolo Mattei. Non c’è praticamente viuzza o piazzetta che non ne rimandi il senso. Come ammetteva, per sé stesso, anche Luigi Magni, il regista del Papa Re, ma anche del film su san Filippo Neri State buoni se potete. Lui con fama di anticlericale, ma che i nonni portavano a messa a Santa Maria in Vallicella, la chiesa di “Pippo buono”, come i romani chiamavano san Filippo: “Comunista da quarant’anni e cristiano da venti secoli”.
La selezione degli articoli scandisce un calendario di percorsi inconsueti, alcuni davvero sconosciuti. Il 18 del mese di gennaio si ricorda Santa Prisca, una ragazzina di 12 anni uccisa ai tempi di Claudio e titolare della chiesa di Santa Prisca all’Aventino, tra le più antiche di Roma, e che condivide la notorietà del nome con la Prisca moglie di Aquila e amica di san Paolo. Il giorno dopo è la festa di san Sebastiano, guardia del corpo di Diocleziano: ucciso quando si sparse la voce che si prendeva cura dei cristiani incarcerati e dava sepoltura ai martiri. Il suo corpo è conservato nella bella basilica di San Sebastiano fuori le Mura, sull’Appia Antica. Dalla chiesa dei Santi Silvestro e Martino ai Monti non si passa spesso, ma lì riposa uno dei santi moderni più amati dal popolo, il beato Angelo Paoli: arrivato a Roma nel 1687 e divenuto “Padre dei poveri”. Davanti al suo convento c’era sempre la fila, e lui “servendosi al forno della divina Provvidenza” arrivò a distribuire trecento pasti al giorno; poi mise su un ricovero per i malati, ma convinse pure Clemente XI a recintare gli archi del Colosseo, che erano usati come postriboli. Da San Paolo alla Regola, dietro a via Arenula, i romani passano più che altro in disperata ricerca di un parcheggio. Eppure qui sorgeva la casa dove Paolo abitò per ben tre anni, praticamente ai domiciliari, in attesa del processo, lavorando e “annunziando il regno di Dio a tutti quelli che lo venivano a trovare”. Facendo attenzione, di chiesa in chiesa si può ricostruire tutto il percorso di martirio che visse san Lorenzo, diacono e vero “apostolo romano”, da dove oggi è San Lorenzo in Lucina, al Celio e alla basilica del Verano dove è conservato il suo corpo. A via della Lungara, sulla strada antica che verso il Vaticano passa davanti a Regina Coeli, c’è un’altra chiesetta che passa inosservata.
Sull’altare una grande tela del Settecento presenta un uomo che dorme, non giovane. E’ San Giuseppe, che non dovette fare altro, nella vita, che ascoltare e obbedire all’angelo che in sogno di dice di non temere a prendere con sé Maria. E’ una chiesa cara al popolo romano, per le preghiere semplici che qui non vanno perdute. Santa Sabina sull’Aventino è invece una delle basiliche più antiche e celebri. Ma non tutti sanno che in alto a sinistra della porta d’ingresso, in una formella in legno vecchia di quindici secoli, ci sono i due malfattori a fianco di Gesù. Il condannato a destra sembra quasi sorridere guardano Gesù, che gli ha appena promesso “sarai con me in Paradiso”. Il Martirologio Romano chiama quel malfattore (Disma o Tito nei vangeli apocrifi) il “santo ladrone”. Santo, addirittura. A due chilometri di distanza, dietro al Foro di Nerva, un’altra chiesetta da cui i turisti non passano è dedicata ai martiri Quirico e Giulitta, esisteva già nel VI secolo. “Ospita un piccolo modesto altare, che quasi nessuno conosce”, scrive Mattei. E’ dedicato a San Giuseppe e, assieme, a “Disma, buon ladrone”. In questa devozione millenaria per il malfattore salvato all’ultimo, messo addirittura accanto a Giuseppe, c’è il senso più semplice e profondo del Giubileo.
Uno dei santi meno noti e più affascinanti della storia di Roma, un pellegrino mistico, riposa nella chiesa di Santa Maria dei Monti, su una piazza di affollati ritrovi turistici. La storia di Benedetto Giuseppe Labre è splendida. Arrivò a Roma a piedi, nativo del nord della Francia, nel 1770, dopo avere percorso quasi 30 mila chilometri visitando letteralmente in lungo e in largo i luoghi di culto di tutta Europa. Ma la sua fede di pellegrino irrequieto non trovava il suo riposo. A Roma visse tredici anni come un santo clochard, condividendo la vita dei poveri, dormendo ovunque, ma misteriosamente diventando per tutti un esempio che “destava nel cuore” la volontà di conversione. Tanta fu la testimonianza della sua fede che, poco più di un secolo dopo, fu fatto santo da Leone XIII. San Tommaso in Parione è ora una scalcagnata chiesetta affidata alla comunità eritrea.
Ma qui, dove si sposò Lorenzo Bernini, fu ordinato sacerdote Filippo Neri. Già da quindici anni “Pippo buono”, ancora laico, girava nelle strade notte e giorno, radunando ragazzi poveri e ricchi, affascinandoli con la sua fede, la sua bonomia, la sua “musica di Dio”. Al Celio c’è invece da scoprire un altro San Tommaso, stavolta San Tommaso in Formis, dove si incontra però san Giovanni de Matha, che nel Duecento fondò un ordine che si dedicava a riscattare i cristiani fatti schiavi nei paesi musulmani (accadeva anche viceversa, sappiamo). Nel caos del Pantheon nessuno entra nella bella chiesa della Maddalena, dove nel Cinquecento un altro santo della carità “sociale”, Camillo de Lellis, mise su il suo ordini dei “ministri degli infermi”. Vicino al Carcere Mamertino, dietro al Campidoglio, una chiesa si chiama Santa Maria della Consolazione. Sorge nel luogo dove venivano uccisi i condannati a morte. Fu proprio un condannato, nel Trecento, a lasciare due fiorini perché fosse dipinta una Madonna, che consolasse i futuri sventurati come lui. Lì, in una cappelletta, c’è anche la reliquia di un santo moderno, il cappuccino croato Leopoldo Mandic, che per tutta la vita fu un confessore e dispensatore della “consolazione di Dio”. Nelle passeggiate di Paolo Mattei entrano anche altre storie, legate all’oggi, tra poesia e musica. L’amore per Roma di un poeta schivo come Giorgio Caproni, la semplicità popolaresca di Trilussa e Alberto Sordi, il dramma di Pavese. Tutti insieme, in questo pellegrinaggio per le antiche vie “onde Cristo è romano”.