Sangue freddo per difendere la democrazia liberale dalla Decima Musk

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Leggo con sconforto il suo editoriale sul vostro giornale (l’unico giornale libero d’Italia) da suo avido lettore quotidiano. Lei scrive che “i presunti oligarchi di Trump non minacciano il mondo” e giustamente rileva che anche la precedente amministrazione Biden ha ricevuto importanti donazioni da imprenditori e dalle stesse Big Tech che ora finanziano la nuova Amministrazione Trump. Converrà che una democrazie liberale (che lei giustamente difende) si base sulla limitazione del potere e della concentrazione del potere stesso. Altrimenti, una democrazia che concentra il potere a danno dei molti, in contrasto con l’idea democratica del potere diffuso tra tutti è un’oligarchia. Nel suo editoriale non menziona che nessun ceo delle Big Tech aveva incarichi governativi sotto l’Amministrazione Biden. E’ questo il vero punto e la sfacciataggine con cui l’amministrazione Trump mischia potere privato e pubblico alla faccia di norme e tradizioni che sono costate anni di battaglie per difendere la democrazia libérale perno di una società aperta. Le suggerisco un libro da leggere appena uscito in America scritto dalla prof. Brooke Harrington della Dartmouth College – “Offshore: Stealth Wealth and the New Colonialism” che offre interessanti spunti al suo editoriale. Gli Stati Uniti hanno già vissuto quest’epoca durante il Gilded Age a cavallo tra fine Ottocento e Novecento quando i “robber barons” dell’epoca (i vari Vanderbilt, Carnegie, Rockefeller, Astor, Morgan, ecc.) ammassarono fortune immense anche influenzando e corrompendo i vari governi americani per ottenere sussidi, concessioni. Ma c’è una notevole differenza con le nuove Big Tech di oggi: i “robber baron” praticavano un “restraint” morale” coscienti del fatto che avrebbero dovuto restituire alla società ciò che la società gli aveva dato. L’accesso senza restrizioni al potere dei signori delle Big Tech è invece oggi indirizzato esclusivamente al loro arricchimento personale senza alcuno “restraint” morale. Inoltre, senza vergogna questi signori propugnano un’agenda politica via algoritmo dei loro social media costruito di proposito per favorire l’indignazione e quindi il traffico online e di conseguenza i loro profitti. Tuttavia, la conseguenza di tutto ciò è la frantumazione della società in tribù costantemente in guerra tra di loro. Per non parlare dell’accesso a contratti federali che questi signori hanno che utilizzano a loro piacimento. E questa la democrazia liberale egregio direttore? O semmai è una società oligarchica retta da un arrogante e clientelare “chrony capitalism” costruito esclusivamente per il guadagno dei pochi. La mia lettera non vuole di certo demonizzare la società digitalizzata se questa permette nuove forme di partecipazione per lenire il divario sempre più netto tra governanti e governati. Ma ahimé una società aperta non può lasciarsi sovrastare dalla potenzialità e dall’abuso della tecnologia in mano ad alcuni che hanno precise agende politiche. La tecnologia è sì inestimabile ma deve essere soggetta a regole attente nell’interesse di tutti. La democrazia liberale è quanto importante tanto fragile. Aleksandr Solgenitsin scrisse: “Il potere illimitato nelle mani di poche persone conduce sempre alla crudeltà”. Il dives Marco Licinio Crasso, l’Elon Musk dell’Antica Roma, si arricchì sulle spalle della plebe romana affittando palazzi, confiscando beni ai suoi nemici ma fu ucciso pare versandogli in gola oro fuso.


Un suo lettore.


Stefano Spada

Non pretendo di convincerla, gentile Spada, ma provo a offrirle qualche altro spunto di riflessione. Lo faccio saccheggiando un interessante articolo pubblicato ieri dall’Economist, proprio su questo tema. L’Economist, come noi, non ama Trump, e come noi suggerisce di non credere alla favola dell’America destinata a diventare un’oligarchia tecnologica. L’America, semplicemente, non può diventare un’oligarchia tecnologica perché la sua industria è troppo poco maneggevole, troppo poco controllabile, “per pietrificarsi”. Perché i presunti tecnoligarchi “controllano una porzione troppo piccola della vasta e diversificata economia del paese per poterne influenzare la direzione generale”. Perché sebbene Amazon, Meta e Tesla rappresentino insieme un decimo del valore di tutte le azioni quotate in America, il loro contributo economico è più modesto e corrisponde all’1,8 per cento del pil americano (e se si aggiungono Apple e Alphabet, si arriva al 3,1 per cento). E il fatto che grande tecnologia non sia un gruppo di interesse monolitico è dimostrato dal fatto che molti dei presunti tecnoligarchi sono in concorrenza l’uno con l’altro e che ciascun presunto tecnoligarca non può tenere l’economia in ostaggio anche perché ha dei concorrenti in America (Walmart per Amazon per dire). Niente panico e sangue freddo e per difendere la democrazia liberale dalla Decima Musk meglio concentrarsi su temi più importanti: non mancheranno. Grazie della bella lettera.

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