L’Europa è scorretta con noi, dice Trump a Davos, tra minacce a tutti e voglia di accordi

Dal palco del World Economic Forum, il tycoon si sofferma sul mondo del business e della diplomazia, sfidando le regole economiche, ambientali e di cultura d’impresa compiute negli ultimi dieci anni. Un messaggio che suona come un mix di bastone e carota, in cui va tutto ripensato. Purchè l’America sia “sovrana”

“Ora siamo una forte nazione sovrana”, con l’enfasi che cade soprattutto su quella sovranità ripetuta più volte. Dopo quattro giorni di corsa forsennata per firmare ordini esecutivi che cambiano il volto dell’America, Donald Trump si affaccia sulla scena internazionale e lancia il suo monito: adesso dovete fare tutti come dico io.

Lo scenario è il palco di Davos, quel World Economic Forum che da giorni si interroga su come fare i conti con lui e che nel giorno finale si ferma ad ascoltarlo in videocollegamento dagli Stati Uniti. Trump ha scelto quest’occasione per parlare più al mondo del business che a quello della diplomazia. E il messaggio di fondo che manda è una sfida radicale alle regole economiche costruite a Bretton Woods, alle scelte sulla difesa dell’ambiente e della sostenibilità fatte negli ultimi dieci anni (“il Green deal è un imbroglio”) e anche a tutto il percorso che la cultura d’impresa ha compiuto nel Ventunesimo secolo in termini di diversity, inclusione, parità di genere. Va tutto ripensato, dice Trump, e al centro deve esserci un’America “sovrana” che vuole decidere le regole del gioco e non accetta limitazioni e regolamenti.

Salvo poi aprire la porta, ripetutamente, a quella che è la profonda natura transazionale della seconda amministrazione di Trump. Che si tratti di guerra in Ucraina, di forniture di gas o di regolamentazione dell’intelligenza artificiale, il messaggio del presidente è un mix di bastone e carota: siamo pronti a usare i dazi contro tutto e tutti, ma siamo aperti a fare accordi se sono nel nostro interesse. Anche a Vladimir Putin chiede di venire al tavolo dell’accordo, sostenendo che Kyiv è già dalla parte di Trump (ma non si capisce bene quale sarebbe la proposta) e che conviene a tutti mettere fine al massacro. In caso contrario, l’America alzerà la pressione sul piano economico.

Il “let’s make a deal” emerge più e più volte nelle parole del presidente-venditore, che parte come già nel discorso dell’inaugurazione dal racconto di un’America che sta per entrare “in un’età dell’oro” e verso la quale tutto il mondo dovrebbe correre per approfittarne, perché “è il miglior posto dove fare investimenti”.

“Saremo la superpotenza dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute. Abbiamo fatto più cose noi in quattro giorni che la precedente Amministrazione in quattro anni”, è la premessa, per poi lanciarsi nella consueta litania di accuse a Joe Biden di avergli lasciato un paese in ginocchio, gravato da “ottomila miliardi di dollari di spesa pubblica, un eccesso di regolamenti, inflazione, prezzi alimentari alle stelle”. Ma Trump se la prende anche con il resto del mondo che lo ascolta. Ai sauditi intima di “abbassare il prezzo del petrolio: se fosse stato più basso, la guerra in Ucraina sarebbe già finita”. Alla Cina chiede “correttezza e rispetto delle regole”, salvo poi descrivere un mondo in cui gli Stati Uniti non vogliono sottostare ad alcuna regola internazionale.

Le parole più dure le riserva all’Europa. L’Unione europea “ci tratta malissimo, abbiamo un deficit miliardario con voi europei e questo non va bene. Io cerco di essere costruttivo, amo l’Europa e gli europei, ma ci trattate in modo scorretto”. E qui inserisce il racconto di un leader di una grande compagnia aerea americana che l’avrebbe chiamato per chiedere aiuto “perché atterrare in Europa è diventato costosissimo, impossibile, brutale”.

“Avete troppe regole – incalza Trump, rivolto agli europei seduti in platea a Davos – e poi volete imporre le regole alle aziende americane. Portate in tribunale Apple, Google, volete miliardi da loro. Queste sono aziende americane e non lo accettiamo più”. E così si capisce meglio perché il mondo tech fosse schierato e sorridente in seconda fila lunedì scorso all’Inauguration Day di Trump in Campidoglio.

“Abbiamo un sacco di cose di cui lamentarci con l’Europa”, è il mantra del presidente, ma su tutte alla fine “si può trovare un accordo”. Trump sventola lo spauracchio dei dazi, minaccia di ritirarsi dal Vecchio continente, ma poi torna lo spirito di fondo che forse caratterizzerà la seconda presidenza: “Let’s make a deal”. Se ci guadagniamo, forse possiamo tornare indietro sulle nostre minacce. Basterà la Groenlandia?

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